E’ possibile anche solo immaginare che le donne possano privare gli uomini della loro prima fonte di piacere, affinché quest’ultimi vengano finalmente incontro alle loro richieste? Eccome! Succede a sud dell’illuminata Marrakech (Marocco), dove le donne di un piccolo villaggio sono da sempre obbligate ad estenuanti andirivieni, in salita e sotto un sole cocente, per trasportare l’acqua proveniente da una sorgente prossima alle loro abitazioni. Aspri tragitti tali da causare ad alcune di esse la perdita prematura dei figli non ancora messi al mondo. All’orizzonte nessuna via d’uscita alla logorante routine, fino al giorno in cui l’arrivo e la proposta rivoluzionaria di un’intraprendente sposina venuta dal sud, Leïla, non muta il destino delle sfruttate donne maghrebine. Sciopero della parola? Sciopero del lavoro? Ma che… sciopero del sesso! Fino a data da destinarsi. O meglio fino a quando le loro fatiche e i loro sforzi non saranno alleggeriti dalle risposte concrete dei loro consorti. Pazza idea?
Come in questo film – La source des femmes (2011) – del regista romeno/francese Radu Mihaileanu, il tema della condizione della donna, tanto nel Medio Oriente quanto nel Maghreb, è da sempre di scottante attualità e lo è, ora più che mai, alla luce della fresca ondata di speranza originata dalla ‘primavera araba’ durante la quale il genere femminile ha avuto un ruolo fondamentale. Recentemente lo ‘scomodo’ Jafar Panahi ne ha parlato nel suo Offside, uscito nelle sale italiane solamente nel 2011, ma realizzato nel 2006 sotto l’occhio dell’intransigente regime di Mahmoud Ahmadinejad, incentrandolo sull’interdizione alle donne iraniane ad assistere ad una partita di calcio della loro nazionale, attraverso uno stile brillantemente tragicomico, limpido e delicato. Che assomiglia, per l’appunto, a quello di Mihaileanu, già autore di due intense pellicole come Train de vie – Un treno per vivere (1998) e Il concerto (2009). Un cineasta non certo d’origine araba, ma acuto osservatore e ironico narratore dell’anti-paritaria e maschilista società islamica, dei suoi vetero pregiudizi, delle sue arretratezze e delle sue tensioni irrisolte.
Qui Mihaileanu tinteggia una vicenda seria e delicata che ha tuttavia del tenero e del grottesco, in cui per le donne l’unica soluzione di sfuggire alla sottomissione maschile è rappresentata da una scelta di non-violenza, da un’arma tanto semplice quanto compromissoria, elegante e ingegnosa che alla fine, a tratti un po’ troppo di netto, fa da contrappunto alla rudezza e alla grossolanità degli uomini. L’atto di rivolta e di coraggio della bella beurette Leïla, sostenuta dall’anziana saggia del villaggio, diventa così l’emblema di una lotta reale che non s’arresta in maniera fittizia all’interno dei confini dell’universo filmico, ma che al contrario vuole farsi in modo non diretto denuncia discreta e non di pesante ideologia, capace di infondere la speranza ottimistica di un legittimo raggiungimento delle pari opportunità anche per l’intero mondo arabo.
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