Il 6 novembre 1991, durante uno dei periodi più cupi della storia di Russia, Boris Yeltsin prese la decisione di mettere al bando il PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), mastodonte politico-burocratico che aveva retto le sorti dell’URSS per 74 anni. A distanza di un ventennio, tuttavia, metà della popolazione russa ritiene sbagliata quella scelta. Recenti sondaggi dell’istituto VCIOM dimostrano che il partito che ne ha raccolto l’eredità, il KPRF, può godere di un 6% di consensi diretti e di un ulteriore 20% di simpatizzanti. Solo il 2% della popolazione è ancora convinto della bontà della decisione di Yeltsin. In altri sondaggi, il KPRF si conferma stabilmente secondo partito della Federazione, con un 17% di consensi previsti alle elezioni parlamentari di dicembre. Chi è stato l’artefice della metamorfosi e della successiva riscossa di un partito virtualmente condannato dalla storia?
Il Kommunističeskaja Partija Rossijskoj Federacii nacque un anno dopo la scomparsa del PCUS. La direzione del partito venne affidata ad un politico di lungo corso, Gennadij Andreevič Zjuganov. Costui aveva militato nel KPSS (PCUS) già a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, periodo in cui divenne segretario del Komsomol della città di Mymrino. In seguito, durante gli anni ’80, si pose a capo di una corrente fieramente avversa alla perestrojka e alla glasnost’ avviata da Mihail Gorbačëv. Dopo il disfacimento dell’URSS e il bando del suo partito, la fondazione del KPRF, cui contribuirono numerosi pensatori e filosofi quali Aleksandr Dugin, rappresentò una nuova sfida per il navigato Segretario.
Smesse le bolse vesti dell’internazionalismo, il KPRF si è caratterizzato da subito per la sintesi ideologica affatto originale fra istanze filosofico-sociali apparentemente contrastanti: nazionalismo, comunismo, euro-asiatismo. Lo statuto del partito è in tal senso paradigmatico: “L’inganno e la violenza hanno restituito il Paese al capitalismo. Questo è il percorso della regressione sociale che porta alla catastrofe nazionale, alla morte della nostra civiltà”. La cornice teorica di riferimento non è più la dialettica fra classi sociali. E’ il bene comune, incarnato dal concetto mistico di Patria.
Un marcato dualismo teorico caratterizza i principi fondamentali del KPRF. Da un lato, provvedimenti sociali ed anti-capitalistici quali nazionalizzazione delle risorse naturali e dei settori strategici dell’economia, rientro dei capitali depositati all’estero, controlli sui prezzi dei beni di prima necessità, tariffe calmierate per i servizi pubblici, aumento dei finanziamenti per la ricerca e per i salari dei ricercatori e dei docenti. Dall’altro, misure dall’afflato liberal: incentivazioni per le PMI, riduzione degli impiegati pubblici, misure contro la corruzione e l’illegalità. Il tutto, condito da uno slogan ad effetto: “La Russia, il lavoro, la democrazia, il socialismo!”.
Il partito, conscio della sua presa sulla cittadinanza (ed in particolar modo fra gli anziani – segmento di popolazione quanto mai ampio in Russia) ed in ossequio alla propria rinverdita ideologia, ha deciso di giocare la ‘carta etnica’ in vista del rally elettorale di dicembre: reintroduzione della dichiarazione obbligatoria dell’etnia di appartenenza sui documenti di identità. Di rilievo notare che anche l’ultra-nazionalista LDPR, terzo partito della Federazione, è impegnato in questa campagna, adducendo motivazioni solo formalmente differenti da quelle del KPRF.
Accanto a battaglie di impatto come quella descritta, il KPRF ha deciso di sfidare sul suo stesso terreno il ‘putiniano’ Obščerossijskij Narodnyj Front (Fronte Popolare Panrusso), lanciando il proprio progetto: Narodnoe Opolčenie (Milizia), organizzazione giovanile di chiara ispirazione nazional-patriottica. Il format è sorprendentemente simile all’ONF: una formazione-ombrello che possa raccogliere individui e gruppi indipendenti, fornendo nuova linfa al partito. In alcuni oblast’, come Nižnij Novgorod, i vertici del KPRF ritengono poi di poter oltrepassare il 50% dei consensi. Non a caso la città è stata scelta anche dal Nacional-Bol’ševistskaja Partja (Partito Nazional Bolscevico) e da Drugaja Rossija (Un’altra Russia) per la propria marcia del 4 novembre, svoltasi in chiave sciovinistica e nazional-comunista.
Il KPRF cerca quindi di accreditare l’immagine di un comunismo del XXI secolo riveduto e (politicamente) corretto, dove la proprietà privata torna ad esser strumento di promozione sociale da incoraggiare, e tuttavia critico verso il capitalismo alla maniera di Putin, che Zjuganov definisce apertamente feudalesimo. Secondo il Segretario Generale, il partito dominante ha concluso un fallimentare tentativo di creare un sistema politico con un’opposizione eterodiretta di centro-destra (Pravoe Delo) e di centro-sinistra (Spravedlivaja Rossija). Adesso, Russia Unita non ha alternative se non “forgiare il risultato elettorale rubando voti e usando il manganello per ottenere i risultati previsti”.
Nonostante le aspre critiche, il programma elettorale del KPRF – dal suggestivo nome “Restituite la Madrepatria ghermita!”, ha profonde analogie con il programma di RU. Un ulteriore elemento a riprova della peculiarità del sistema politico russo, dove partiti su posizioni apparentemente inconciliabili sono congiunti da un comune anelito ideologico e da una condivisa percezione del ruolo geopolitico della Federazione nel secolo in corso.
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