Le esercitazioni militari rivestono una primaria importanza nella geopolitica, che spesso oltrepassa il mero dato militare. Possono ribadire la solidità di una alleanza, così come scuotere uno scomodo vicino. Nello spazio geo-strategico esteuropeo, il proliferare di queste operazioni assume la funzione di cartina di tornasole nelle relazioni fra i vari Stati. Ad esempio, i forti legami che intercorrono tra Federazione Russa e Bielorussia vanno ben oltre l’unione doganale recentemente istituita fra i due Stati e il Kazakistan (a cui si aggiungerà presto il Kirghizistan). Esiste addirittura un soggetto sovranazionale, il Sojuznoe Gosudarstvo (Stato Unione) nato con la firma del roboante ‘Trattato di Unione fra Russia e Bielorussia’ il 2 aprile 1997, il cui funzionamento è stato peraltro alquanto intermittente. A prescindere dai progressi in campo istituzionale, è forse l’aspetto militare quello che fa registrare i migliori risultati nella collaborazione fra i due Paesi. Ščit sojuza (Scudo dell’unione) è l’esercitazione che annualmente Russia e Bielorussia tengono in modo congiunto per verificare ed aggiornare le proprie metodologie operative e l’interoperabilità dei loro assetti.
Il wargame si è tenuto in due poligoni negli Oblast’ di Nižnij Novgorod e di Astrahan’. Il Capo di Stato Maggiore Generale delle forze armate russe, Nikolaj Makarov ha confermato che la scelta di svolgere Ščit sojuza in zone lontane dai confini federali è stata presa sia per non indispettire i Paesi confinanti in orbita NATO, che per dimostrare la “pacifica natura dello Stato Unione e la funzione difensiva dell’alleanza militare (sic!)”.
Nell’esercitazione, dal 16 al 22 settembre, sono stati impiegati 12.000 uomini. Tra questi, 5.000 erano bielorussi – dato che per il Presidente Lukašenko dimostra quanto “la cooperazione tecnico-militare con la Federazione Russa sia stata fruttuosa”. Gli asset impiegati comprendevano 50 fra elicotteri e aeroplani e oltre 100 carri armati. Tutto il materiale era ovviamente di produzione (o quantomeno progettazione) sovietica, andando dai caccia Su-27 ai carri T-72, passando per i ‘classici’ fucili d’assalto AK-74. Oltre gli aspetti propriamente operativi, lo Scudo dell’Unione ha rappresentato un’opportunità per i cadetti dell’accademia militare e gli studenti della prestigiosa Università Statale di Informatica e Radio-elettronica bielorussa, che hanno potuto addestrarsi in un ambiente operativo verosimile.
A differenza delle scorse edizioni, Ščit sojuza 2011 ha ricevuto un significativo, anche se simbolico, contributo esterno. Come annunciato in aprile con toni trionfalistici dal Ministro della Difesa russo Anatolij Serdjukov, a seguito dell’incontro tenuto a Minsk con i suoi omologhi ucraino Mixajlo Ežel’ e bielorusso Jurij Žadobin, l’Ucraina avrebbe partecipato a questa edizione dell’esercitazione con un piccolo contingente aereo.
L’aver coinvolto l’Ucraina è stato un risultato assai rilevante sotto il profilo diplomatico, visto il ruolo (e la collocazione) geo-politicamente sensibile del Paese. E’ rimarchevole notare come, durante gli stessi giorni di Ščit sojuza, si sia svolta in Crimea Adequate response 2011 (dal 12 al 20 settembre); il più vasto programma di addestramento mai intrapreso dalle forze armate ucraine, in cui sono stati coinvolti 9.500 uomini e 2.300 mezzi (fra i quali 33 navi, 48 aerei e 31 elicotteri) che hanno impiegato munizionamento reale. Anche in questo caso, il significato dell’esercitazione travalica il ruolo addestrativo in senso stretto per assurgere a dimostrazione di forza, neanche tanto velata, proprio in prossimità di quella Sebastopoli che ancora oggi ospita la Flotta del Mar Nero russa.
Come se non bastasse l’Ucraina aveva partecipato poche settimane prima (dal 18 al 29 luglio) all’esercitazione congiunta Safe Skies 2011 insieme alla Polonia e agli Stati Uniti. L’obiettivo del military drill era ufficialmente adeguare agli standard occidentali le dottrine di impiego dell’aviazione ucraina, specie nella difesa dello spazio aereo, in vista degli Europei di calcio che Ucraina e Polonia organizzeranno congiuntamente. Il risultato è stato conseguito in modo piuttosto rocambolesco, visto che piloti e operatori radar ucraini sono abituati ad usare il russo quale lingua veicolare. E’ stato quindi necessario un corso accelerato di russo agli operatori americani per evitare spiacevoli incomprensioni. Anche le macchine utilizzate, i soliti MiG-29 e Su-27, essendo profondamente diverse dai caccia occidentali per concezione e caratteristiche tecniche, hanno dimostrato una scarsa compatibilità nell’impiego congiunto. Gli americani, dal canto loro, hanno partecipato con sette caccia F-16, C-5 e C-17 da trasporto strategico, aerocisterne KC-135. La Polonia impiega assetti di origine statunitense ed ha quindi schierato di nuovo gli F-16 provenienti da Lask.
Il bilancio di queste esercitazioni è politicamente molto complesso. Da un lato, il presidente bielorusso Lukašenko pare aver scelto di rinforzare il legame già profondo fra il suo Paese e la Russia, dall’altro il presidente ucraino Janukovi – blandito da Europa e Russia ma al contempo osteggiato per l’eliminazione politica della Timošenko – sembra voler ritagliare per il suo Paese spazi di autonomia, difficilmente concepibili in un mondo che vede sempre più forte la pressione verso l’integrazione in blocchi regionali. Lo spazio post-sovietico ribolle, le geografie delle alleanze sono quanto mai a geometria variabile (strictu sensu), e l’Ucraina è terra di mezzo, marca di frontiera. Vedremo se e come la sua ‘rendita di posizione’ potrà influenzarne la postura geopolitica.
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