Nel suo primo discorso al Parlamento, Mario Monti è stato chiaro: donne, lavoro e politiche sociali. Il “governo di impegno nazionale”, così definito dal professore, si propone di favorire l’occupazione di giovani e donne, promuovere la natalità, assicurare la piena inclusione dell’universo femminile nel mercato del lavoro, promuovere la condivisione delle responsabilità legate alla maternità.

L’Italia, in effetti, non gode di una buona cultura delle Pari opportunità, una problematica che, molto spesso, corrisponde ad un deficit culturale. Pari opportunità non vuol dire ‘riforme rosa’ ma avere uomini e donne che hanno la stessa facilità nel trovare e mantenere un lavoro, gli stessi diritti nel poter conciliare professione e famiglia, gli stessi doveri nel prendersi cura della casa e dei figli. In quest’ottica, l’inattività delle donne italiane rappresenta un problema da non sottovalutare: secondo gli ultimi dati Istat il tasso di occupazione femminile è fermo al 47%, molto al di sotto della media europea (58%), e il dato peggiora significativamente al Sud. Più della metà, inoltre, dichiara che uno dei motivi di scoraggiamento è la scarsa flessibilità di orari e delle modalità lavorative.

Altri dati internazionali, relativi al Global Gender Gap Report 2011 – l’indagine condotta dal World Economic Forum a livello mondiale sull’equità di genere nei quattro settori principali della società, economia, politica, istruzione e salute – riservano all’Italia la 74esima posizione su 135 Paesi, un risultato non proprio eccellente ma, considerando i dati di fatto, non sorprendente. Ai primi posti si confermano Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia, Irlanda e Nuova Zelanda. Prima di noi Paesi come Germania (11esima), Spagna (12esima), Regno Unito (16esimo), Usa (17esimi), Francia (48esima) e Grecia (56esima). In campo europeo, inoltre, l’Italia è tra i fanalini di coda per il fattore ‘opportunità e partecipazione alla vita economica’ (90esimo posto) e salute (75sima posizione).

Sono dati allarmanti che prefigurano una situazione non certo rosea. E’ necessario un cambiamento. Incentivare il flexi-time, applicando anche il telelavoro; un sistema del welfare che sostenga le assunzioni femminili; assegni per le famiglie ed eque agevolazioni fiscali a seconda del reddito: sono solo alcune delle misure che si potrebbero rivelare risolutive.

Studi complessi e articolati dimostrano la stretta relazione fra l’uguaglianza di genere, il livello di competitività e produttività, e quindi il prodotto interno lordo e, addirittura, il livello di sviluppo umano. La questione delle pari opportunità è, molto spesso, un problema culturale che si annida all’interno di consuetudini, tradizioni e modi di pensare. Un esempio è dato dal congedo di paternità. Un padre, come una madre, ha il diritto/dovere di occuparsi di un figlio appena nato anche per consentire alle donne di mantenere continuità con il lavoro dopo il lieto evento. In pratica, il principio delle cure domestiche e familiari è un diritto/dovere di uomini e donne insieme, ciò che in molti paesi del Nord Europa rappresenta la normalità: in Olanda, per esempio, il 40% degli uomini sfrutta il congedo parentale.  Le pari opportunità si realizzano con misure concrete che sostengono i diritti umani di donne e uomini.

Un altro nodo cruciale è rappresentato dalla carenza di asili nido nel nostro Paese: secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto degli Innocenti (incaricato del monitoraggio sui ‘nidi’) l’Italia è ferma a quota 23 per cento; in particolare, solo Emilia Romagna, Toscana e Umbria hanno le carte in regola per raggiungere l’obiettivo di Lisbona: 33 posti ogni 100 bambini (entro il 2010). Il resto del Paese non presenta servizi sufficienti a disposizione dei bambini al di sotto dei tre anni: la copertura media del servizio in Italia corrisponde solo al 12,7% e addirittura all’1% in alcune zone del Mezzogiorno. Una situazione anomala rispetto a quella di altri Paesi europei, come la Danimarca che si attesta al 60%, l’Irlanda al 40% e la Francia al 29%. Preoccupa inoltre l’incremento medio delle tariffe e infastidiscono le liste di attesa.

Dall’analisi dei dati, custodita dal Ministero degli Interni e relativa al 2007, emerge che il numero degli asili nido comunali sia cresciuto solo del 2,4% rispetto al 2006. In media il 25% dei richiedenti rimane in lista d’attesa. Il picco spetta alla Campania con il 42% di bimbi in lista di attesa, seguita da Lazio (36%) e Umbria (35%).

Occorre favorire lo sviluppo di una  chiara coscienza civile, consapevoli del fatto che la diminuzione delle disuguaglianze di genere passa anche attraverso la realizzazione di servizi per l’infanzia. Supportando i genitori, inoltre, si favorisce la crescita economica del Paese.

Il nuovo Governo si trova a dover affrontare un lavoro immane ma dall’Europa provengono segnali incoraggianti: la percezione della nostra nazione è migliorata. L’Unione è cosciente del fatto che “l’Italia deve affrontare rapidamente le sfide formidabili che ha di fronte, ma il nuovo Governo ha il know-how” per portare avanti le riforme necessarie, finalizzate a risanare le debolezze strutturali del Paese. Ciò è quanto emerge dal documento firmato dal commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn: sedici pagine per incentivare il Governo italiano e dire che serve subito una manovra da 11 miliardi di euro.

Fronteggiare le disuguaglianze di genere, soprattutto in campo economico, vuol dire maturare degli obiettivi di crescita, ed è evidente che nei Paesi dove le disparità tra uomini e donne sono meno marcate si affermano strategie politiche ed economiche in grado di valorizzare l’universo femminile, considerato un fattore di sviluppo per la società. Ciò non accade in Italia, dove lavoro e maternità sono più inconciliabili che in qualsiasi altro Paese europeo e un quarto delle donne abbandona il lavoro dopo la nascita di un figlio.

Il ‘governo tecnico di impegno nazionale’ del professor Monti annuncia strategie nuove che mirano a risollevare il sistema Paese anche in termini di uguaglianza di genere, partendo dal problema dell’occupazione. Per riformare il Paese in pochi mesi serve però anche l’appoggio dei partiti, delle parti sociali e dell’opinione pubblica. La stessa Unione Europea consiglia al premier di “spiegare chiaramente e in modo convincente l’insostenibilità dei costi di un fallimento e i benefici, per la società, di un successo”. Il  rischio di default, inoltre, “può aumentare rapidamente in assenza di risposte adeguate”. Di fronte all’entrata in scena del nuovo esecutivo di Mario Monti il commissario Rehn, aveva avvertito: “Il monitoraggio Ue sull’Italia proseguirà. Il lavoro con il nuovo governo è avviato e le sfide che deve affrontare sono difficili”.

E’ comunque ancora possibile dare ‘risposte adeguate’, rimuovere gli ostacoli alla crescita ma, per riparare i danni, occorre lavorare sodo. Ci si affida alla ricette del Professore per dare una scossa positiva al Paese che, nello stato attuale, non può più aspettare.

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