Ci risiamo. Il caro e vecchio slogan della secessione padana è stato di nuovo rispolverato dal leader del Carroccio. Dopo anni di latenza, nonostante il passo lento che il federalismo fiscale teneva nell’ultimo governo Berlusconi, con l’accentuarsi della crisi economica e di quella dei partiti, Bossi ha dovuto rianimare i sogni d’indipendenza per tenere unito il suo elettorato.
In origine la Lega fu in effetti fondata con questo scopo. Difatti l’articolo 1 del suo Statuto recita: ”Il Movimento politico (…) ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”. Essa nacque con questo intento precipuo e in teoria cesserebbe di aver ragione d’esistere a compimento dell’obiettivo.
Ma, analizzando le nostre norme di diritto costituzionale, sarebbe possibile raggiungere l’indipendenza “attraverso metodi democratici”? Ovviamente no. Il popolo ‘verde’ che, speranzoso, crede ancora in un possibile distacco dal resto dell’Italia, dovrà rassegnarsi all’impossibilità di conseguire soddisfazione. Infatti i nostri Padri costituenti, con una serie di pesi e contro-pesi intoccabili, blindarono la possibile disgregazione dello Stato nazionale.
Se la Lega volesse seguire l’iter più democratico, ossia quello referendario, qualora riuscisse a raccogliere le 500mila firme necessarie per indire la votazione, sarebbe senza ombra di dubbio bloccata dalla Corte Costituzionale. Difatti l’art. 5 della Costituzione (“la Repubblica è una e indivisibile”) non permette a nessun territorio del nostro Paese di sottrarsi alla sovranità dello Stato.
Altra strada – ancor più impraticabile – sarebbe quella della riforma costituzionale. Di difficilissima riuscita, visti sia le tempistiche sia i numeri di cui le modalità necessitano. Servirebbe infatti una serie di riforme degli articoli (in particolare quella del V) la cui attuazione è di enorme difficoltà visto l’assai improbabile appoggio delle altre forze parlamentari. Senza contare che, come disciplinato dalla Carta costituzionale, la revisione della stessa prevede un percorso lungo ed impegnativo. Qualora anche venisse superato lo scoglio della maggioranza dei due terzi alle Camere, sarebbe necessario che né Cassazione né Corte Costituzionale si opponessero a una proposta di scissione.
E’ evidente quindi quanto il Senatur da sempre venda ‘aria fritta’ ai suoi seguaci, in perpetuo speranzosi di vedere un giorno realizzata la ‘Repubblica Padana’. Se almeno oggi Bossi, invece di remare contro il proprio Paese, avesse scelto di appoggiare il governo chiamato a restituire credibilità alla nostra Nazione, avrebbe fatto cosa di certo più concreta.
Certo gli è stato più facile ricorrere all’amato populismo – lavandosi le mani di fronte ai problemi che sono di un intero Paese e non di una sola parte di esso – piuttosto che lavorare con le altre forze politiche per costruire un’Italia migliore. La Lega magari avrebbe potuto proseguire nella sua assai più vincibile battaglia a favore del federalismo fiscale, che porterebbe di certo un beneficio alla collettività, una riduzione del centralismo e una presenza meno oppressiva dello Stato. Ma non si può pretendere di raggiungere tale obiettivo tirandosi fuori da quella maggioranza “politica” che ora sostiene il Governo pur nel gravoso dovere di restare unita.
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