Si è svolto l’8 e 9 dicembre scorsi il Consiglio europeo tra i Capi di Stato o di Governo considerato il più importante degli ultimi vent’anni e conclusosi, invece, con 26 paesi da una parte, uno soltanto oltre la barricata e un’intesa di massima per un futuro accordo internazionale. Cameron era arrivato a Bruxelles con alcuni punti da negoziare per la salvaguardia del mercato finanziario della City e dell’intera Inghilterra, compreso un protocollo di opt-out per il Regno Unito riguardo alla regolamentazione finanziaria attualmente in cantiere a livello europeo. Il Premier britannico se n’è andato senza ottenere alcun punto della sua agenda e lasciando un’Unione a 26 che sembra sia indirizzata a concludere un accordo internazionale, in seguito da includere nel Trattato, che dia vita nel termine di marzo 2012 ad un “patto di bilancio” per garantire stabilità nell’area euro.
Nell’accordo ci sono misure indirizzate a rafforzare il coordinamento delle politiche comunitarie e, appunto, a creare un nuovo patto di bilancio. In primis la “regola aurea”, ovvero il principio del pareggio di bilancio che dovrà essere recepita dai Parlamenti nazionali a livello costituzionale; vi sarà l’obbligo di avere un disavanzo strutturale annuo non superiore allo 0,5% del PIL. Il ruolo della Commissione verrà rinforzato all’interno della procedura per i disavanzi eccessivi (art. 126 TFEU, applicabile solo ai Paesi della zona euro). Quest’articolo prevede che, se viene deciso dal Consiglio su proposta della Commissione che vi sia un disavanzo eccessivo di uno Stato membro, il Consiglio trasmetterà in contemporanea raccomandazioni allo Stato membro interessato, fissando un termine di massimo sei mesi per adottare misure efficaci. Se il disavanzo persistesse scatterebbero delle sanzioni.
Queste sanzioni, già previste peraltro nel Six Pack entrato in vigore lo scorso 13 dicembre, saranno rese “più automatiche” dal futuro accordo, ovvero entreranno automaticamente in vigore e potranno essere bloccate soltanto dagli Stati membri dell’eurozona con un voto a maggioranza qualificata. Maggiori poteri alla Commissione saranno dati anche nel monitoraggio e nella valutazione dei documenti programmatici di bilancio e nell’ambito della correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri. Prevista anche una extrema ratio secondo la quale se uno Stato è in pericolo di instabilità finanziaria, la Commissione potrà richiedere al Paese membro di riscrivere il documento programmatico di bilancio. Queste pregnanti novità non saranno tuttavia introdotte dal nuovo accordo in quanto già contenute in due regolamenti presentati lo scorso 23 novembre dalla Commissione. Al vertice, infatti, sono state soltanto ribadite.
Altri elementi di novità si concentrano invece sul potenziamento del fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF) e sull’entrata in vigore del meccanismo europeo di stabilità (ESM) che sarà anticipata a luglio 2012. Prima era prevista per il 2013. Inoltre la capacità dei due fondi sarà nel complesso innalzata a 500 miliardi di euro. Altro aiuto potrà eventualmente arrivare dal Fondo Monetario Internazionale, che potrà aggiungere circa 200 miliardi di euro sotto forma di prestiti bilaterali.
Queste le modifiche principali che il nuovo accordo porta con sé. Diverso è l’aspetto dell’implementazione da parte degli Stati che si sono detti disponibili alla firma. Iniziano, infatti, i primi risentimenti: Repubblica Ceca, Irlanda (referendum) e Olanda non sono fiduciosi del fatto di riuscire a far passare le nuove norme attraverso i rispettivi Parlamenti. Ad un simile pensiero viene il mal di pancia anche a Svezia, Ungheria e Danimarca. Ci sono, poi, problemi di natura tecnica dovuti alla non chiarezza di quello che del nuovo accordo fino ad ora è stato messo su carta. Molti dei Paesi sopraelencati, infatti, si chiedono a chi le misure di sorveglianza sui bilanci si applichino: a tutti e 26 o solo a quelli della zona euro? Problematica è, infine, anche la collocazione che avranno le istituzioni europee, su tutte Commissione e Corte di Giustizia, all’interno di un accordo disciplinato, per ora, dal diritto internazionale. La strada sembra, dunque, molto più tortuosa di quella tracciata dalla quasi unanimità raggiunta il weekend scorso, che evidentemente era solo di facciata.
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