La terapia prescritta dal tecno-premier Monti, taumaturgo chiamato a salvare l’Italia, non piace ai sindacati che puntano i piedi dichiarando scioperi generali e l’intenzione di ricorrere a “tutte le iniziative di lotta” possibili.

In questi giorni abbiamo assistito a cortei, presidi e manifestazioni di piazza e abbiamo subìto l’ennesimo sciopero dei trasporti. Il tutto, in nome di una protesta che sa di routine e sembra rispondere più a una logica di cieca contrapposizione che di confronto costruttivo tra Governo e parti sociali.

Andrea Cuomo del Giornale descrive così la situazione che stiamo vivendo: “I sindacati uniti dopo anni nel birignao di sigle (Cgil-Cisl-Uil-Ugl) fanno trincea comune, invitano gli italiani a scendere in piazza gridando all’iniquità, alla ruberia, ma in realtà difendono solo il loro diritto di veto, la facoltà di sbattere i loro «no» in faccia alla politica”.

Ovviamente, la realtà è un po’ più complessa e articolata. I rappresentanti dei lavoratori svolgono, infatti, un ruolo fondamentale nelle società moderne: l’intermediazione dei diritti dei propri iscritti rispetto alle esigenze della collettività.

E’ sacrosanto proteggere i ‘diritti’, ma che senso ha arroccarsi nella difesa di ‘privilegi’? Quale giovamento si può trarre dalla difesa dello status quo? “Le parti sociali – scriveva Dario Di Vico sul Corriere della Sera del 12 dicembre scorso – devono sapere che lo sviluppo-senza-spesa-pubblica passa per la rivisitazione di alcune rendite di posizione e in concreto per un negoziato senza tabù. Non ci si può opporre a tutto, dall’eliminazione delle pensioni di anzianità all’apertura domenicale dei negozi e persino alla liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C!”.

I sindacati devono assumere una visione di lungo periodo e comprendere che la grave crisi in cui è coinvolto il Paese non può essere superata se non attraverso una riorganizzazione del nostro modello di crescita che impone sacrifici a tutti i cittadini (si spera in proporzione rispetto alle possibilità di ciascuno). Non c’è più tempo per concertare, è ora di decidere.

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1 COMMENTO

  1. La modifica della norma sulla vendita dei farmacia di fascia C. Su quest’ultimo punto, quello che ci premeva ribadire è la definizione di un semplice principio: se un farmaco, per essere venduto, necessita di ricetta medica, si deve comprare in farmacia, come avviene in tutto il mondo, e come proprio in Commissione ha certificato l’Agenzia Italiana per il Farmaco, organismo tecnico, terzo ed indipendente, che ha rassegnato tutte le sue perplessità sul provvedimento proposto dal governo.
    Per il resto, si ampli se serve il numero delle farmacie, si vendano pure i farmaci da automedicazione insieme alle lattughe e ai detersivi, se a questo siamo ridotti. Non è quindi una difesa di categoria o di fatturato quella che ci interessa, ma la salvaguardia della salute del cittadino cui viene prescritto un farmaco che – se abusato- può essere pericoloso. Non so se lo stesso può asserire ad esempio l’on. Bersani, che lo scorso 6 dicembre ha inviato una lettera alle cosiddette “parafarmacie” vantando il suo successo sulla formulazione del decreto. E a proposito del segretario del Pd, se tanto gli stanno a cuore le liberalizzazioni, perchè non ne ha dato prova in occasione del recente referendum sull’acqua, invece che sposare la causa dello statalismo sovietico? Lo stesso vale anche per le signore Marcegaglia ed i professori Monti, cui non mancherà l’appoggio convinto del Pdl quando e se vorranno trattare le vere aperture del mercato dei servizi, non le azioni punitive verso questo o quello. O c’è qualcuno che creda davvero che spostare fatturato da una farmacia a qualche Coop produca sviluppo economico?
    La farmacia, anello fondamentale della filiera sanitaria e sottoposta a continui ed intensi controlli da parte di Asl, Regioni e Nas, gode da sempre della maggior fiducia dei cittadini. Spesso è l’unico presidio sanitario che eroga servizi collegati strettamente al farmaco; garantisce la preparazione di medicinali, risolvendo problemi per dosaggi inesistenti in commercio o per prodotti che l’industria non prepara più per scarsa domanda; svolge i turni di servizio notturni e festivi, garantendo l’assistenza 24 ore su 24 grazie ad una rete di 18.000 punti, seconda solo a quella delle Poste; garantisce il reperimento di farmaci in poche ore; offre prestazioni sanitarie di prima necessità (dalla pressione arteriosa alle prenotazioni di visite) in supporto ad altre strutture di accesso meno agevole e surrogando la Pubblica Amministrazione nelle sue inefficienze; è la struttura a stretto contatto con il cittadino per fornire una pronta assistenza sanitaria. Tutto ciò costituisce la sicurezza che deriva dalla farmacia più che da farmacista che vi opera, proprio per l’obbligo di formazione e di controlli cui la struttura è soggetta. Mi si creda, chi si sta agitando per qualche meschino interesse va cercato altrove.

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