Il prestigio di un Paese all’estero dipende, come abbiamo visto in questi mesi, da fattori vari e talvolta imponderabili, ma è certo che una diplomazia intelligente e autorevole può contribuirvi in modo non indifferente. In fin dei conti, il rapporto naturale che molti Paesi, specie quelli più lontani, hanno con il nostro, passa attraverso il contatto frequente coi nostri rappresentanti diplomatici. Certo, un tempo, prima delle grandi guerre del secolo passato, i diplomatici all’estero rappresentavano la fonte principale delle informazioni sul Paese di residenza e lo strumento principale di contatto politico con le sue autorità e l’Italia aveva in questo campo una grande tradizione, che risale agli ambasciatori veneziani, maestri insuperati di diplomazia.
Poi le cose sono cambiate sotto molti aspetti: alle funzioni prevalentemente politiche si sono venute aggiungendo altre, nei settori dell’economia e della finanza, della cultura, dell’emigrazione, che sono altrettanto cruciali anche se meno “brillanti”; la rapidità delle comunicazioni nel “villaggio globale” rende spesso inutili o superati i metodi di informazione della diplomazia; la classica diplomazia dei rapporti tra Paesi (“bilaterale”) è, dalla creazione dell’ONU e poi della NATO e dell’UE, in gran parte superata o assorbita dal lavoro che si svolge nei grandi organismi multilaterali per cui passa ormai tanta parte (e spesso la più importante) della politica estera e che richiedono metodi e qualità molto diversi da quelli tradizionali (in alcuni casi, per esempio all’Assemblea Generale delle NU, si richiedono attitudini e conoscenze di tipo parlamentare); infine, è quasi un luogo comune constatare che i contatti tra Governi di molti Paesi si sono fatti sempre più diretti, intensi e personali, scavalcando per forza di cose l’opera più lenta e misurata degli Ambasciatori. Questo è vero soprattutto in seno all’Europa, in cui Capi di Stato e di Governo e Ministri degli Esteri, dell’Economia, della Difesa, etc. si vedono e si sentono in continuazione (in misura minore, ma significativa, ciò avviene anche in seno alla NATO, al G-8 e al G-20).
E tuttavia, la diplomazia professionale mantiene un ruolo essenziale: non può competere con la CNN e con le agenzie di stampa nel dare le notizie, ma la stampa scritta e parlata è talvolta superficiale e “impressionistica”, mentre la diplomazia deve saper andare al di là delle apparenze e del contingente, cogliendo quelle ragioni di fondo che sono alla base degli eventi internazionali, e così informare e orientare correttamente il proprio governo. Un Ambasciatore che conosca il Paese o l’organismo in cui serve e sappia fare il suo mestiere, deve essere in grado di spiegare al Governo cosa succede veramente e indirizzarlo verso un comportamento adeguato. Non soltanto: una diplomazia degna di questo nome deve essere all’ascolto delle correnti profonde, spesso sotterranee, quelle che prima o poi finiscono col deviare la politica ufficiale o comunque con l’influenzarla e anche su questo, senza ipocrisie o timore umano, informare rettamente il Governo. E se il Governo talvolta è distratto e non ascolta i suoi rappresentanti all’estero, commette un errore che prima o poi pagherà. E sempre, malgrado tutto, l’Ambasciata e i Consolati sono il primo biglietto da visita del nostro Paese all’estero, capaci di conquistarci simpatie o, al contrario, di causare disappunto e talvolta anche ira o disprezzo e, comunque, di tenere alta la nostra immagine o deteriorala seriamente.
Naturalmente, non tutti i Paesi e non tutti gli organismi internazionali sono egualmente importanti per l’Italia e quindi il lavoro della nostra diplomazia non ha rilievo pari in tutte le sedi. Una classifica precisa non è facile da fare e sarebbe comunque variabile col tempo e le circostanze (ad esempio, le Ambasciate in grandi capitali europee come Londra, Berlino o Parigi hanno perso parecchio della loro tradizionale importanza da quando esistono i Consigli europei, mentre le Rappresentanze in Russia o anche in Paesi relativamente piccoli, ma per noi chiave, come la Slovenia, la Croazia, la Serbia o l’Albania, hanno acquistato contenuto e rilievo inediti in passato). Non vi è dubbio tuttavia che, sul piano multilaterale, ONU, NATO e UE restino sedi di primaria importanza, in cui l’operato del nostro Rappresentante (spesso chiamato ad agire e decidere senza istruzioni puntuali, fidandosi del suo buon senso e della conoscenza delle linee generali della nostra politica), è molte volte determinante. Ed è certo che, nel settore bilaterale, Washington (come, in misura minore ma non trascurabile, alcune grandi capitali dell’Asia, come Pechino e Tokyo, o del Sudamerica, come Brasilia e Buenos Aires, ove abbiamo interessi rilevanti ma scarsi contatti diretti) è una sede in cui il Governo è chiamato ad inviare i suoi diplomatici migliori. Si tratta infatti di una sede estremamente complessa e con ampio spettro di azione per un Ambasciatore italiano. La quantità delle questioni da seguire, l’ampiezza dei contatti anche personali da sviluppare e mantenere con l’Amministrazione, il Congresso, la stampa, gli ambienti economici e culturali, l’immensa collettività di origine italiana, di un Paese che resta tuttora il leader dell’Occidente, è impressionante, e dalle capacità dell’Ambasciatore dipende spesso l’atteggiamento che l’establishment americano e la comunità italoamericana hanno in concreto verso di noi. Per questo, sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti si è succeduta una serie di Ambasciatori di prim’ordine la cui opera è stata di grande beneficio per il nostro Paese e ha lasciato tracce incancellabili nel mondo americano.
L’opinione pubblica in generale li conosce poco e male, perché questi servitori dello Stato sono abituati a fare il loro mestiere con discrezione e fuori dei riflettori della pubblicità, ma nel giro in fin dei conti ristretto della diplomazia internazionale, i loro nomi sono ancora leggenda: Tarchiani, Ortona, Petrignani, Biancheri, Salleo, Castellaneta e, ultimo in ordine di tempo, Terzi, ora Ministro degli Esteri. Non era facile trovare per quest’ultimo un successore all’altezza, ma il Governo ha avuto la mano felice scegliendo il più giovane dei nostri Ambasciatori di grado, Claudio Bisognero, fino ad ora Vicesegretario Generale della NATO. Bisognero, che viene da una famiglia di militari, ha tutte le qualità di intelligenza, esperienza e senso del dovere che sono richieste per un incarico diplomatico che, assieme a quelli di Rappresentante Permanente all’ONU, alla NATO o all’UE, non ha pari per importanza e complessità. L’Italia potrà dunque contare in quel Paese chiave di un rappresentante capace, brillante e degnissimo, che terrà alto il nostro prestigio e saprà conquistarsi le simpatie giuste. A lui i nostri auguri più amichevoli e sinceri, perché il suo successo sarà un successo dell’Italia.
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