Di una cosa bisogna dare atto alla Lega: è riuscita a paganizzare la propria ideologia. Questo tipo di approccio trova la sua culla moderna nella Russia bolscevica dove ritualità e esaltazione del leader erano la base fondante del ‘credo’ comunista.
In questi anni Bossi è riuscito a creare un sistema che gli ha permesso di mantenere una solida base e di attirare nuovi ‘adepti’ attraverso rituali ed usanze consolidate nel tempo, entrate ormai a far parte della vita politica del Carroccio.
Durkheim (sociologo francese vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900) affermava: ”Il rituale esprime il sentimento di dipendenza del singolo nei confronti della società conferendo a quest’ultima un’aura di sacralità agli occhi dei suoi membri”.
Per animare e conservare il senso di appartenenza, la Lega organizza in particolare due eventi di grande richiamo simbolico, con un rituale al limite della sacralità: la ‘festa dei popoli padani’ e il ‘ritrovo di Pontida’. Il primo è l’ormai famoso rito dell’’ampolla’ del Po, prelevata dalla fonte a Pian del Re di Crissolo (Cuneo, Piemonte) e svuotata presso la Riva dei Sette Martiri a Venezia. Il secondo invece è l’annuale ritrovo del movimento nella cittadina di Pontida (Bergamo), dove il 7 aprile 1167 avvenne il Giuramento tra i comuni lombardi che sancì la nascita della Lega Lombarda.
Il carattere liturgico di questi avvenimenti è unico nel panorama politico italiano e permette al partito di Bossi di abbandonare i classici strumenti della comunicazione politica moderna, per dare spazio ai ben più aggreganti strumenti di identificazione personale attraverso simboli e radicamento sul territorio.
Già, proprio quest’ultimo è una metodologia, anch’essa di tradizione comunista, che vede la Lega essere presente in modo forte sul territorio ed essere grazie a questo in grado di mantenere una rete comunicativa che compia il percorso inverso rispetto a quello classico, partendo dal basso, per raggiungere poi rilievo nazionale. Riti e simboli, perpetuati nel tempo danno la possibilità a uomini e donne di trovare un senso di appartenenza, una identità che sentivano perduta e che tramite queste pratiche riescono a recuperare.
C’è da chiedersi in effetti se questa sorta di liturgie dotino i leghisti di autocoscienza critica e oggettiva o se l’effetto di distorsione della realtà unito all’impeto emotivo portino i militanti a non comprendere nemmeno la natura dei propri gesti. Sembra di assistere a un effetto di lobotomizzazione: tutti la pensano alla stessa maniera, il leader è sacro, il suo verbo è legge infallibile.
Se però dal punto di vista della teoria politica l’assolutismo illuminato di Bossi rappresenta un ineccepibile esempio di analisi scientifica, non si può di certo dire che, nonostante abbia in passato partecipato ad esperienze di governo nazionale, si curi degli interessi del Paese.
L’atteggiamento di estenuante difesa della Padania porta sì consenso ma, in una logica di politiche nazionali, conduce solo al peggioramento della situazione. Certo, la popolarità in chiave elettorale è importante, ma come sarebbe realizzabile l’indipendenza se dovesse fallire tutto? La Lega lascerebbe i propri militanti in braghe di tela? Non è pensabile che il sacrificio dello stesso Nord sia la sola strada per l’indipendenza. Se è di questo che stiamo parlando, come è concepibile salvare anche una sola parte se non si è partecipi della salvezza nazionale?
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