L’anno che si sta chiudendo verrà ricordato in Nord Africa e in Medio Oriente come l’anno della “Primavera Araba”. Questa ondata rivoluzionaria è stata paragonata – da media ed “esperti” – a diversi momenti storici: la Primavera dei popoli del 1848 (da qui il nome Primavera Araba), la caduta della cortina di ferro del 1989 o ancora il nostro Risorgimento. Secondo l’avvocato e scrittore libanese Alexandre Najjar, è però nella Rivoluzione dei Cedri del 2005 (che lui chiama Primavera di Beirut) che va ricercato il punto di partenza delle Primavera araba di oggi. Allora si chiedeva che l’esercito siriano lasciasse il Libano, dopo l’assassinio di Hariri e con l’occasione il popolo denunciò i problemi che soffocavano il Paese: corruzione, nepotismo, partito unico, censura…  Le stesse motivazioni a sfondo sociale che continuano a scuotere gli animi oggi. L’unica differenza è forse che i “rivoluzionari” utilizzano oggi tutte le tecniche moderne di comunicazione in loro possesso, per far si che i loro messaggi arrivino ovunque, senza violenza ma con grande incisività.  Anche la televisione satellitare come Al-Jazeera ha giocato un ruolo di primo piano nello sviluppo degli eventi. Le dittature coinvolte hanno tentato a loro volta di contrastare in ogni modo l’utilizzo della rete e dell’etere.

Il  vento di protesta si alza nella Tunisia di Zine el-Abidine Ben Ali, al potere dal 1987.  Il 17 Dicembre 2010, l’immolazione del giovane venditore ambulante Mohamed Bouazizi  scatena massicce e ripetute manifestazioni in tutto il Paese, manifestazioni alle quali le forze dell’ordine rispondono con spari e arresti. L’Algeria, diretta dal 1999 da Abdelaziz Bouteflika, sarà il primo Paese a seguire l’esempio tunisino a partire dal 28 Dicembre.

A Gennaio, nella Regione, numerose persone tentano il suicidio con il fuoco. Il 14 Gennaio Ben Ali  si decide a chiedere “asilo”  all’Arabia Saudita. Questa fuga  rappresenta la vittoria della prima rivoluzione popolare e scatena la contestazione in tutto il Mondo Arabo. Il giorno stesso della caduta del regime tunisino,  si registrano movimenti popolari in Giordania. Pochi giorni dopo è il turno di Mauritania, Oman, Yemen e Arabia Saudita. Nell’ultima settimana di Gennaio l’effetto domino è inarrestabile. Uno degli eventi più significativi è l’occupazione di Piazza Tahrir al Cairo, che da più di 30 anni vede alla guida del Paese Hosni Mubarak.  In Marocco le proteste cominciano il 30 Gennaio: la popolazione è delusa perché il Re Mohammed VI non ha concretizzato le promesse fatte all’inizio del suo regno.

A Febbraio il processo di riforme in Tunisia (il 6 Febbraio si scioglie il Partito del Presidente in esilio) e soprattutto le manifestazioni in Egitto, che culminano l’11 Febbraio con l’allontanamento di Mubarak, sono seguite da una seconda ondata di contestazioni. Le proteste in Barhein conoscono una nuova fiammata. L’occupazione di Piazza della Perla (la Tahrir locale) dura un mese. In Oman gli scioperi e le manifestazioni diventano sistematici. Il 27 Febbraio, il Primo Ministro Ghannouchi (Tunisia) si dimette. Il nuovo Premier, Essebsi, annuncia l’elezione di un’Assemblea Costituente per il 23 Luglio. In Libia, la Rivoluzione del 17 Febbraio diventa subito oggetto di una repressione feroce. In Algeria, il CNCD (Coordinamento Nazionale per il Cambiamento e la Democrazia) non ottiene i risultati sperati, anche se i sit-in e gli scioperi portano a qualche progresso politico (fine dello stato di emergenza) e sociale. Il Governo si “compra” la pace sociale grazie alle entrate petrolifere.  In Oman i manifestanti ottengono qualche riforma sociale (posti di lavoro e sussidi per la disoccupazione), un rimpasto di Ministri e la promessa di una riforma costituzionale. Il 23 Febbraio, il Re Saudita Abdallah annuncia una seconda tornata di misure sociali in favore di funzionari, studenti, disoccupati, per un valore di 36 miliardi di dollari. In Egitto viene dissolto il Parlamento, la Costituzione sospesa.

Il 9 Marzo, il Re del Marocco Mohammed VI annuncia un’importante riforma costituzionale, da sottoporre a referendum. Obbiettivo: rafforzamento dei poteri del Primo Ministro e dei Partiti politici. Dopo due mesi di crisi simultanee, le organizzazioni internazionali intervengono per cambiare le sorti di alcune di loro. Il 16 Marzo, le autorità del Barhein, chiedono il coprifuoco nella capitale Manama e, sostenute dalle truppe Consiglio per la Cooperazione nel Golfo (che dimostrano così una grande solidarietà contro-rivoluzionaria), cominciano la loro opera di “contenimento” verso gli oppositori. Due giorni dopo, il 18 Marzo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite vota una Risoluzione che prevede una “no fly zone” sulla Libia: questo intervento salva Benghazi e l’insurrezione libica dalla controffensiva lealista. In Egitto viene approvata, attraverso un Referendum, la riforma della Costituzione. La Siria comincia ad “agitarsi”. Il 18 Marzo, l’arresto di alcuni minori a Deraa provoca manifestazioni che si estendono, molto rapidamente, in tutto i Paese. Il Presidente Assad , dopo aver concesso qualche misura sociale, comincia a reprimere brutalmente l’opposizione. Come molti altri “colleghi”, Bachar el-Assad denuncia un complotto, nei confronti del suo Paese, da parte dell’Occidente. In Yemen, ai manifestanti si uniscono l’opposizione parlamentare e le tribu, senza però trovare uno sbocco politico alle richieste. Le manifestazioni si susseguono nonostante le centinaia di morti.

Ad Aprile, proseguono le proteste. In Algeria scioperi  e manifestazioni portano il Presidente Bouteflika a promettere la riforma della Costituzione. In Egitto, Mubarak e i suoi due figli vengono arrestati. La guerra in Libia continua, così come la repressione e le misure anti-sciiti in Barhein. In Yemen intervengono le diplomazie occidentali che si pongono come intermediari. Il Consiglio di Cooperazione del Golfo, sostenuto dall’UE e dagli USA, propone un piano di transizione. Il Presidente Saleh si vede “costretto” ad accettare. A Marrakech il 28 Aprile un attentato fa 16 morti. L’Arabia Saudita impone la normalizzazione in Barhein inviando le sue truppe. La Piazza della Perla, luogo simbolo della contestazione, viene smantellata con le ruspe. Due importantissime basi americane (controllo strategico del sud est asiatico) si trovano in Barhein. La “normalizzazione” avviene lontana dalle telecamere occidentali.

Dopo  l’intervento in Giugno delle forze aeree occidentali, appoggiate dalle monarchie del Golfo (il tutto sotto mandato ONU), le brigate di Gheddafi cominciano a vacillare. Bisognerà aspettare però il 20 Agosto affinché le forze della resistenza libica riescano ad unirsi con i ribelli di Tripoli. Il 21 la città è sotto il loro controllo.

Il 9 Settembre, migliaia di egiziani si riuniscono al Cairo, al Piazza Tahrir, per denunciare la lentezza delle riforme promesse dal Consiglio Supremo delle Forze Armate, che è a capo del Paese dalla caduta del Presidente Mubarak.

Il 20 Ottobre Gheddafi viene linciato ed ucciso.

Il 19 Novembre viene arrestato nel Sud della Libia, dalle truppe del CNT, il figlio di Gheddafi, Saif-al-Salam. Luis Moreno Ocampo, procuratore della Corte Penale Internazionale, dichiara che Saif potrebbe essere giudicato in Libia prima di essere giudicato davanti alla CPI per crimini contro l’umanità. In Egitto, dopo le manifestazioni di Piazza Tahrir del 20 Novembre, il Governo ad interim, diretto dal Maresciallo Tantawi, annuncia le sue dimissioni e la formazione di un Governo di salute pubblica e mettere così fine al potere politico illimitato dei militari.

Un primo bilancio della Primavera Araba? I  vincitori delle rivoluzioni arabe sembrano essere, per ora, gli islamisti che hanno avuto una grande capacità di mobilizzazione ed organizzazione. Gli islamisti sembrano anche godere del pieno sostegno dei Paesi del Golfo e in parte degli USA, che ormai hanno “accettato” l’idea di convivere con un islamismo moderato sullo stile Erdogan. In Egitto, le elezioni legislative iniziate il 28 Novembre ( che si dovrebbero concludere il 3 Gennaio 2012), sembrano dar ragione ai Partiti Islamisti, primi fra tutti Fratelli Musulmani e Salafiti. Sembrerebbe che alla seconda fase elettorale (14 e 15 Dicembre) ci sia stata un affluenza del 67% dei partecipanti contro il 52% della tornata precedente (28-29 Novembre). Il Partito per la Libertà e la Giustizia (Fratelli Musulmani) sembrerebbe essere ancora in pole position con il 39% dei voti, seguito a ruota dai salafisti di al-Nour (30% dei voti). I Partiti liberali e i movimenti nati dalla rivolta anti-Mubarak, divisi e mal organizzati, sono apparsi da subito in grave difficoltà. Malgrado le elezioni vadano avanti, Piazza Tahrir si macchia sempre più di sangue. Dove stia andando l’Egitto non è ancora chiaro. In Siria, poco risalto è stato dato dall’occidente, alle elezioni comunali, che potevano essere invece viste come la prima piccola scintilla verso la democrazia. La situazione interna del Paese è sempre più drammatica, gli osservatori della Lega Araba sono riusciti ad entrare nel Paese dopo mesi di trattative, il risultato della loro missione rimane molto incerto.  In Marocco, il Referendum Costituzionale del 1° Luglio scorso ha portato ad un effettivo rimodellamento della Costituzione e le elezioni del 25 Novembre hanno confermato a loro volta l’affermarsi dei partiti islamisti filomonarchici e moderati. In Libia le elezioni sono attese per Giugno 2012. In Tunisia, grazie ad un accordo tra i tre gruppi politici più importanti (Ennahda, Il Congresso per la Repubblica e il Forum democratico per il Lavoro e la Libertà) Marzouki diventa Presidente della Repubblica e Jebali Primo Ministro. Ma anche qui, non si può mettere un punto fermo, è tutto ancora molto incerto e avvolto dalla nebbia.

Cosa succederà ora solo la Storia potrà dircelo.

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