Ad Hailsham, college apparentemente idillico e facoltoso tipicamente Old England, tre ragazzi, Kathy, Tommy e Ruth, trascorrono la propria infanzia tra primi amori, prime amicizie e prime scoperte, inizialmente ignari del futuro che li attende. Una delle loro tutrici, però, spiffera tutto: essi sono infatti dei cloni destinati, da adulti, a donare i propri organi per i trapianti.
La loro vita è così determinata fin dall’infanzia, all’interno di un microcosmo, Hailsham, senza contatti con il reale mondo esterno, tra braccialetti identificativi da passare su un visore ottico ogni volta che si esce e si entra dall’edificio e leggende intimidatorie che circolano su chi ha osato mettere piede fuori dal recinto, controllato dalla severità prussiana dei loro tutori e dall’intransigenza glaciale della misteriosa direttrice del college chiamata Madame. Kathy, Tommy e Ruth, come tutti gli orfani del college, sono solo degli esseri concepiti, senza un’identità definita, programmati in laboratorio per servire il progresso scientifico.
La terza pellicola del regista statunitense Mark Romanek, celebre per la realizzazione di video musicali con artisti del calibro di Madonna, Michael Jackson, Lenny Kravitz e Coldplay, si presenta come melodramma tragicamente attuale sulla questione della clonazione umana, rifiutandosi però di trattare frontalmente le questioni mediche e etiche del tema, concentrandosi quasi esclusivamente sul destino dei tre personaggi, interpretati da Keira Knightley Andrew Garfield e Carey Mulligan. Il loro menage à trois è intensamente angosciante, prima Kathy con Tommy poi Ruth con Tommy, e ben contrasta con l’asetticità dei pallidi edifici e dei luoghi circostanti, e con l’aridità emotiva di un mondo, quello esterno al microcosmo dei donatori di organi, senza pietà.
Sebbene il film sia emotivamente dosato e impeccabilmente fotografato da Adam Kimmel, il ritmo della storia è invece terribilmente piatto e pesante, rivelandosi incapace di poter raggiungere in profondità l’animo dello spettatore. Il merito di Non lasciarmi sta piuttosto nel riflettere, senza bacchettare moralmente, su questioni contemporanee e fondamentali di una società, la nostra, sempre più orwelliana. Non basta.
