Alla guida della presidenza del Consiglio Ue, come sappiamo, ruotano, ogni sei mesi, tutti gli Stati membri, ed essendosi concluso, con il nuovo anno, il turno della Polonia ora tocca alla Danimarca prendere le redini dei vari Consigli Ue. Per prima cosa, infatti, i vari ministri danesi saranno incaricati di presiedere le riunioni a 27 dei ministri, con la responsabilità di assicurare la cooperazione tra gli Stati membri affinché si arrivi a risultati concreti. Inoltre la Presidenza danese dell’Ue rappresenterà il Consiglio nei rapporti con le altre istituzioni europee, soprattutto nei negoziati con la Commissione e il Parlamento.
Il primo ministro danese Helle Thorning-Schmidt ha presentato, il sei gennaio scorso, il programma ufficiale della presidenza del Consiglio Ue, che punta principalmente ad un’Europa responsabile, dinamica, verde e sicura. Sorpassando la retorica, è ovvio come la Danimarca ha preso lo scranno della presidenza in un momento molto delicato e di vitale importanza per l’esistenza dell’intera Unione. Se si considera che i danesi non battono la moneta unica, è necessario sottolineare come si trovino di fronte ad una sfida, quella di tentare di fare da collante tra i 17 Paesi della zona euro con il resto degli Stati membri, molto difficile.
Il programma della presidenza danese punta soprattutto sul rafforzamento del Mercato Unico, con il tentativo di rimuovere ulteriori barriere che oggi impediscono il completamento dello stesso. Di conseguenza il rafforzamento degli scambi commerciali sia con i paesi Ue che, soprattutto, con gli USA e i BRICS sono una top priority. Naturalmente altra urgenza fondamentale è la continuazione di quello che con la presidenza polacca si era iniziato, ovvero il rafforzamento della governance economica, considerato elemento fondamentale per la crescita delle imprese europee.
Dunque, le riunioni del Consiglio più importanti che la Presidenza danese dovrà affrontare riguarderanno in primis la governance economica e il lancio del semestre europeo. Tuttavia la prima parte della presidenza, almeno fino a marzo, sarà dominata dal dibattito sui negoziati, in corso in questi giorni, per delineare il nuovo accordo/trattato internazionale sul quale i ministri di 26 Stati membri, esclusa l’Inghilterra, hanno raggiunto un accordo di massima gli scorsi 8 e 9 dicembre. La crisi prima di tutto, e il compito di fare da collante in queste materie risulterà, per la Danimarca, ancora più arduo se si pensa che, non solo non ha l’euro, ma osteggia con forza le misure ritenute salvifiche dalla maggior parte dei Paesi della zona euro: eurobond e BCE come prestatore di ultima istanza.
Un primo assaggio di questa sfasatura si può leggere tra le righe della tassa sulle transazioni finanziarie, altro elemento considerato fondamentale da molti Stati dell’eurozona. Infatti, riguardo a tale imposta, il Ministro delle Finanze danese Margarethe Vestager, ha detto ad una conferenza stampa a Cophenagen il 10 gennaio scorso, che “saremo molto riluttanti a sostenere e promuovere qualcosa (la tassa sulle transazioni finanziarie, n.d.r.) che minimizzi la crescita e non faccia nulla per incrementare i posti di lavoro”. Il primo punto spinoso della presidenza potrà essere, dunque proprio quella tassa sulle transazioni finanziarie, fortemente voluta da Sarkozy e oggi non osteggiata più nemmeno dalla Merkel.
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