Gli italiani sono spesso etichettati come un popolo di ‘provinciali’ e malfidati. Bollati da questo marchio infamante tirano dritto, convinti delle proprie ragioni, senza badare troppo all’estetica guardano alla sostanza delle cose, s’industriano a trovare un modo per dire “ce l’ho fatta”. Poco importa il come, se serve a mettere insieme pane e companatico. Le tentano tutte, e se non bastano i mezzi leciti allora diventano belve fameliche in una savana dove la sopravvivenza va a scapito di qualche altro povero Cristo che tutta quella forza (o furbizia) non ce l’ha o non l’ha mai avuta. Una volta c’era il mito del posto fisso, oggi invece è un mito chi trova un posto. E’ la crisi, bellezza.

Usi e costumi della tradizione ‘nostrana’ in tema di ricerca del lavoro sono stati certificati dall’Eurostat nel rapporto “Methods used for seeking work” (statistica relativa al secondo trimestre 2011). Ebbene, snocciolando un po’ di numeri viene fuori che dalle nostre parti ben il 76,9% preferisce bussare alla porta di parenti, amici, amici degli amici o sindacati, per trovare lavoro.

Una percentuale superiore alla media europea (e ti pareva strano), ma inferiore ad esempio alla Grecia (strano, ma vero!). Pochi, il 31,4%, fanno affidamento agli annunci di lavoro sulla stampa o sul web. Sarà che gli italiani sono sanguigni e preferiscono il contatto ‘diretto’ piuttosto che l’invio di impersonali e-mail con tanto di allegati. Sarà che la ‘raccomandazione’ è una strada tortuosa ma che accorcia i tempi tra domanda e risposta.

Ma non sarà invece che, al netto di tutti i grafici e le percentuali possibili, è stato sancito il definitivo fallimento delle agenzie di lavoro (o interinali) e dei famigerati centri per l’impiego (una volta chiamati uffici di collocamento)?

Affidare con il cuore gonfio di speranza il proprio curriculum vitae ad un’agenzia interinale per poi  vedersi la posta elettronica imbottita di inutili newsletter già dall’ora successiva all’iscrizione è solo il primo passo verso l’inferno. Ci vogliono ore per compilare un cv secondo le procedure ‘passo passo’ che si effettuano on-line. Sarebbe troppo difficile allegare quello di cui uno già dispone.

Se per mesi tutto tace, cioè non è arrivata alcuna proposta di lavoro, una comunicazione dall’alto (sempre per via telematica) suggerisce all’utente di aggiornare il profilo per avere più chances. Il concetto, la ‘mission’ anzi, di queste multinazionali e raccattare dalla rete il maggior numero di curricula per poi pescare dal mazzo quello giusto da piazzare nell’azienda x, che a sua volta dovrà versare una percentuale alla multinazionale di cui sopra a cui ha affidato il servizio di recruitment. Risorse disumane.

Un metodo (di lavoro?) innovativo, non c’è che dire. Niente di diverso da ciò che accade con le agenzie immobiliari, che setacciano vie, piazze e vicoli, alla ricerca dell’immobile sul quale lucrarci in fase di compravendita.

E i centri per l’impiego? Meglio sarebbe stato chiamarli centri di orientamento all’impiego, non si sa mai che qualcuno ci caschi. Per la maggior parte sono dei carrozzoni – i più all’avanguardia dispongono di un sito internet dalla grafica accattivante – che aiutano disoccupati di ogni ordine e razza a compilare il curriculum.

E basta. Dal lunedì al venerdì, fra poster di operai in cantiere e sale di attesa, i centri si trasformano in ‘dibattifici’ su tematiche tipo “Lavorare oggi, una sfida da vincere” et similia, magari alla presenza di qualche sindacalista.

Questo è il centro. Per l’impiego bisogna attendere.

© Rivoluzione Liberale

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