Wilhelm von Humboldt (1767-1835), filosofo e linguista tedesco, studioso dell’antichità classica e uomo politico, partecipa ai lavori del Congresso di Vienna ed è impegnato in prima persona nella Reformzeit prussiana (un progetto di riforma costituzionale), nel decennio 1809-1819. In questo periodo il Regno di Prussia, dopo la sconfitta inflitta da Napoleone a Jena e Auerstadt nel 1806, è una Nazione in progressiva ma faticosa ripresa, che mira a recuperare la stabilità politica e il benessere economico attraverso un rinnovato assetto costituzionale.

L’opera di Humboldt si sviluppa a contatto con le correnti più importanti della cultura tedesca del tempo, dall’illuminismo allo Sturm und Drang, dal romanticismo al classicismo ‘goethiano’, dal criticismo ‘kantiano’ all’idealismo di Fichte. La riflessione filosofica di Humboldt è espressione di quell’ideale di ‘umanità’ alla quale approda il tardo illuminismo tedesco,  nel suo intento di elaborare una concezione organica dell’uomo in rapporto alla storia, alla società e alla natura. Di qui la critica alla Rivoluzione francese, vista da un lato come legittima espressione di esigenze di rinnovamento e, dall’altro, come astratta imposizione di strutture artificiali inconciliabili con la realtà storica e individuale.

Humboldt individua nella Nazione, più che nello Stato, l’asse portante della vita storica e politica: lo Stato è una sorta di male necessario, i cui poteri vanno rigorosamente delimitati in funzione del fine, che è quello di garantire il libero sviluppo e le finalità degli individui. La tensione che caratterizza l’opera del filosofo tedesco risiede nel tentativo di conciliare il valore della storia con l’imprescindibile valore di guida della ragione, e la libera espressione delle forze individuali con il libero sviluppo di ogni nazione. Afferma Humboldt: “Se ora è già uno spettacolo bello ed edificante per l’anima vedere un popolo che rompe le proprie catene con piena consapevolezza dei suoi diritti umani e civili, allora deve essere incomparabilmente più bello e più edificante – poiché ciò che crea l’inclinazione o il rispetto della legge è più bello e più edificante di quanto viene estorto dalla necessità e dal bisogno – lo spettacolo di un principe che scioglie egli stesso le catene e concede libertà, e questo non come frutto della sua graziosa bontà, bensì come compimento del suo primo e indispensabile dovere”.

La coerenza data dalla duplice finalità della libertà individuale e dalla stabilità politica si basa sulla centralità della dimensione privata dei soggetti, e ciò emerge dall’attenzione costante che Humboldt riserva allo sviluppo concreto delle forze individuali, attraverso un adeguato processo di formazione culturale. In linea con il suo tempo, egli fonda il suo pensiero su una forte idea di ‘umanità’, la cui formazione e realizzazione, se da un lato costituiscono la storia (fatta dalle nazioni e non dagli stati), dall’altro devono avvenire soprattutto attraverso i canali dell’arte e della cultura, intesi come mezzi per suscitare uno stato d’animo volto alla percezione dell’universale nell’uomo e nella natura. Un universalismo di carattere umanista quello di Humboldt, chiaramente riconoscibile nei suoi scritti di filosofia politica, in particolare nelle Idee di un saggio volto a determinare i limiti dell’attività dello Stato – titolo originale del Saggio sui limiti dell’attività dello Stato – uno scritto giovanile terminato nella primavera del 1792 (a soli venticinque anni).

Testo teorico di riferimento del pensiero politico di Humboldt, il Saggio sui limiti dell’attività dello Stato – considerato da gran parte della storiografia manifesto del liberalismo in terra tedesca oltre che, in assoluto, uno dei documenti più importanti della concezione liberale dello Stato – attribuisce al potere pubblico il solo compito di tutelare e proteggere le libertà umane e – come un “guardiano notturno” – difendere gli individui quando non sono in grado di farlo autonomamente. Le funzioni dello Stato devono essere circoscritte alla garanzia della sicurezza interna ed esterna, ma non estese alla cura del benessere dei cittadini (poiché in tal modo la loro iniziativa verrebbe meno) e a quella della sfera privata (difesa della religione, promozione dei costumi, educazione morale).

L’obiettivo di Humboldt è quello di mettere in evidenza i limiti entro i quali l’attività dello Stato deve estendersi per essere legittima: lo Stato deve assicurare la certezza del diritto, garantire il reciproco rispetto dei diritti da parte dei cittadini ed esercitare solo una funzione negativa in vista della loro sicurezza. Il principio fondamentale e non negoziabile è il principio della libertà dell’individuo, che per poter esprimere, a pieno e in completa autonomia, la propria personalità ha bisogno di un contesto sufficientemente diversificato e pluralista, in grado di favorire la libera manifestazione del singolo e di garantire, nel contempo, il diritto di autodeterminazione individuale. Difendendo l’ideale della libertà individuale, Humboldt non perde comunque di vista il ruolo costitutivo della dimensione collettiva dell’agire e dell’appartenenza: il rapporto tra sfera privata degli individui e sfera pubblica dell’agire rappresenta il fulcro del suo lavoro e l’una non si oppone all’altra; la sfera pubblica, al contrario, deve mirare alla piena realizzazione della sfera individuale. Ciò spiega perché per Humboldt il bene dei cittadini deve essere il risultato indiretto dello scopo unico e immediato dello Stato: la tutela della libertà.

L’inversione dei ruoli tra causa ed effetto si rivelerebbe deleteria: se lo scopo dello Stato è il bene comune, improbabile sarà la difesa della libertà; mentre nel perseguire la libertà si otterrà come conseguenza anche il bene dei singoli e della comunità. Nella costante valorizzazione della diversità delle personalità, ma anche della lingua e della cultura, Humboldt crede sia nascosta la soluzione del problematico rapporto tra individuo e collettività. Il principio di libertà è per lui principio di ragione che deve interagire con la diversità delle condizioni (oltre che con la molteplicità storicamente data e da rispettare): “La vera ragione non può desiderare per l’uomo nessun’altra condizione se non quella in cui non solo ogni singolo gode della libertà illimitata di svilupparsi da se stesso nella sua peculiarità, bensì anche in cui la natura fisica non riceve dalle mani dell’uomo nessun’altra forma se non quella che gli conferisce da sé e liberamente ogni singolo individuo, in base ai suoi bisogni e alla sua inclinazione, entro i soli limiti della sua forza e del suo diritto”. Di qui il ruolo decisivo attribuito, in una dimensione aristotelica, al concetto di ‘forza’ o ‘energia’ individuale, che sta alla base della concezione dell’uomo e della morale del giovane Humboldt, e che diventerà centrale nella concezione antropologica e politica del filosofo tedesco.

Estraendo dal pensiero di Humboldt il concetto fondamentale si deduce che ogni individuo deve godere di libertà illimitata nello sviluppo della propria persona e l’attività dello Stato non può oltrepassare il limite tracciato dai diritti individuali: “Questo principio la ragione non può mai, a mio avviso, deflettere più di quanto sia necessario alla sua stessa conservazione. Esso dovrebbe quindi essere posto a fondamento di ogni politica e costituire specialmente il principio donde derivare la soluzione della questione qui trattata. Adottando una formula generalissima, si potrebbe definire il vero ambito della attività dello Stato: quello in cui opererebbe per il benessere della società, senza mai ledere il suddetto principio fondamentale. Ne conseguirebbe immediatamente anche l’ulteriore determinazione, che ogni impegno dello Stato è da respingere, quando porti ad immischiarsi nella sfera d’affari privata dei cittadini, salvo che questi affari non si traducano immediatamente in un’offesa al diritto dell’uno da parte dell’altro”.

La piena affermazione della libertà individuale non è però il risultato di una meccanica e astratta traduzione dei principi razionali nella realtà, prescindendo in questo modo dalle caratteristiche culturali e storiche: ad essere fondanti sono la ragione e la storia insieme, quali principi imprescindibili e complementari per la definizione di norme e istituzioni. Ogni mutamento dell’assetto istituzionale deve realizzarsi in modo graduale, in piena sintonia con il contesto al quale è destinato e quest’ultimo, metabolizzando le implicazioni e le conseguenze del cambiamento, deve dimostrare così di essere maturo. Si rivela essenziale, inoltre, il carattere educativo che la legislazione esplica nei confronti dei cittadini: “Lo Stato (…) tramite l’equilibrio così raggiunto dei diritti, deve porre i cittadini nella condizione di educare sé stessi. Soltanto a questo deve tendere, deve agire solo negativamente e lasciare alla Nazione l’operare positivo della libera attività”. Un legislatore saggio invece è colui che “studia la direzione attuale, poi, a seconda di come la trovi, la favorisce o tenta di contrastarla; così essa viene a modificarsi, eppoi di nuovo e di nuovo ancora”. E’ questa la tesi fondamentale del pensiero politico di Wilhelm von Humboldt, un pensiero che nell’affermare i princìpi di ragione e di libertà non rinuncia al valore della moderazione e della continuità storica.

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