“Comoda come una matita. Tu premi il pulsante e noi facciamo il resto”. Questo era lo slogan della prima campagna di marketing dell’Eastman Kodak Company, l’azienda che per prima ha fornito alle grandi masse la possibilità di farci sentire tutti un po’ artisti con un semplice click. Nata nel 1880, la compagnia fondata da George Eastman, diventata un’icona della fotografia analogica nel corso del secolo scorso, dopo sette anni di bilanci in passivo si è arresa all’evidenza ed ha presentato richiesta per la bancarotta assistita.
Un’azienda con un giro d’affari di oltre un miliardo di dollari nel 1963 e oltre 10 nel 1981, quando la sua quota di mercato sfiorava il 90% di tutte le pellicole vendute nel mondo, un colosso che poco più di un ventennio fa sfiorava i 150mila dipendenti e le cui azioni nel 1997 viaggiavano verso un valore medio di 90 dollari l’una, non è riuscita a stare al passo con le sempre più veloci innovazioni del mondo digitale e oggi registra un organico di ‘soli’ 19mila dipendenti con le azioni, classificate junk (spazzatura), che sono sprofondate sotto la quota dei 50 centesimi.
La Kodak costituisce un caso esemplare di come una strategia sbagliata possa portare al declino anche dei ‘mostri sacri’, intramontabili, almeno nell’immaginario collettivo. C’è chi dice che la colpa sia stata interamente della nuova amministrazione, rea di aver bruciato miliardi di risorse in progetti fallimentari; chi afferma che sia stata l’incapacità di far fronte alla competizione internazionale. Riteniamo invece che il grande fraintendimento delle richieste del mercato da parte dell’azienda, che ne ha segnato il destino, sia più intrinsecamente legato al tradizionale concetto della fotografia in senso fisico come funzione di memoria degli eventi passati, una funzione oggi demandata piuttosto ai grandi social network come Flickr o Facebook (che ha avuto 90 miliardi di foto caricate sui suoi server nel solo 2011), che hanno spedito in pensione il vecchio e polveroso album fotografico.
La bancarotta di Kodak è l’altisonante segnale che i vecchi schemi e meccanismi mentali non sono universalmente validi nello spazio e nel tempo, perché di pari passo alle nuove esigenze consumistiche nascono nuovi modi di concepire i prodotti e di destinare i servizi, che un’azienda (o una Nazione) se ne accorga o meno. E dire che le opportunità non sono mancate: era proprio nei laboratori della Kodak che nel 1975 nasceva la prima macchina digitale al mondo, con una risoluzione di 0,1 megapixel. Un’innovazione incredibile che ‘il dinosauro giallo’ ha faticato a cavalcare, non credendo possibile che la stampa potesse essere un giorno obsoleta, lasciandosi superare da attori minori con una visione più adatta alle crescenti richieste.
Con il regime di bancarotta assistita, Kodak può ora beneficiare di un prestito di 950 milioni di dollari per il pagamento del massiccio debito accumulato, una boccata d’aria mentre tenta di vendere i pezzi della propria storia, gli oltre millecento brevetti che costituiscono l’ultimo patrimonio aziendale. Difficile non pensare a un paragone con gli Stati europei in crisi, come ad esempio la Grecia, che ormai in bancarotta dichiarata ha deciso di svendere la sua storia, affittando il Partenone alla cifra – risibile – di 1600 euro al giorno.
Le lezioni che si possono trarre da questo caso sono molteplici: che la grandezza non garantisce la sopravvivenza, che il mercato è spietato ma anche attivo, dinamico e vivo, che la miopia della strategia a breve termine porta a risultati disastrosi. Ma la lezione di fondo è sempre la stessa. Senza l’innovazione, in questo caso la creatività strategica e lo sfruttamento delle nuove forme di comunicazione e condivisione, qualsiasi azienda, qualsiasi Nazione, qualsiasi realtà, si cristallizza in una formula che, prima o poi, non sarà più appetibile, avviandosi pertanto lungo il proprio inesorabile percorso di declino.
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