Periodo “scapigliato” per la lingua italiana. Pronti? Via: lame’1come (l’amore è una cosa meravigliosa), un pò (anziché un po’, è un tasto in meno), tu6 (tu sei), xchè (perché, ma con l’accento errato è che sulla tastiera viene prima), fs1f (fammi solo un fischio), tvb (ti voglio bene), cmq (comunque), anke (anche, si risparmia l’h), giovan8 (giovanotto), hobidite (ho bisogno di te) eccetera, eccetera. Si potrebbe andare avanti quasi all’infinito, magari affiancati da un nipote estroso che abbia tra i sette e i vent’anni o poco più.

Abbiamo riportato solo pochissimi esempi di parole e frasi a uso ‘sms’ (short message system) che sono utilizzate di frequente, quasi esclusivamente nell’universo giovanile dove vivono gli ‘alieni’ in età scolare – per capirci meglio – con lo scopo di comunicare alla svelta, con trovate di fantasia spesso piuttosto divertenti, altre volte un po’ troppo smorfiose e temerarie. Alcune comprensibili anche ai profani nati prima dell’avvento del telefonino, altre per le quali è necessaria una vigorosa spremitura di meningi. Credetelo, tenendo conto che sopra ne abbiamo riportate davvero solo una piccola parte.

In tutto questo, quindi, che fine fa l’italiano? Per certi versi sembra destinato a fare proprio una brutta fine. E non solo sui banchi di scuola, dove i temi spesso e volentieri sono un’accozzaglia di strafalcioni ortografici e grammaticali, ma anche sulle scrivanie di giornali, riviste e simili, sulle quali a vergare articoli sono persone sempre più giovani – l’esercito di stagisti/precari neo laureati o in procinto di… – oppure ‘esemplari’ più grandicelli ma contaminati dal virus del sintetismo tecno-informatico. Come non bastasse il cosiddetto famigerato burocratese, mostruoso idioma con cui ancor oggi lo Stato si sente autorizzato a rivolgersi ai cittadini.

Tornando ai telefonini, tuttavia, di fronte a uno scenario in un certo senso preoccupante, c’è chi interviene ad addolcire gli incubi degli amanti della nostra lingua. “Quando si scrivono sms oppure email – ha di recente detto addirittura la presidente dell’Accademia della Crusca (la più prestigiosa istituzione linguistica d’Italia), Nicoletta Maraschio – l’obiettivo è quello di arrivare immediatamente con il messaggio al proprio interlocutore e quindi essere veloce. La scrittura in questo caso ha un carattere effimero, tanto da essere definita scrittura volatile, cioè che se ne va”. D’accordo, ma così non rischia di andarsene pian piano anche la conoscenza della lingua vera e propria? Secondo gli esperti come la citata Maraschio, l’elemento indispensabile per il ‘salvataggio’ è che non vi sia un ‘trasloco’ dal deturpato-fugace al decoroso-ufficiale.

Quindi torniamo alla scuola. E’ essa ad avere l’onere di vigilare affinché le generazioni a venire si sappiano destreggiare tra i vari codici di comunicazione ed evitare che venga cucinata un’indigeribile zuppa d’ingredienti a casaccio. L’unica via pare essere quella del dialogo. Sottoporre questo rischio agli allievi e, ad esempio, insegnare loro a rileggere ciò che scrivono. Perché il vizio della velocità determina proprio questa disabitudine. Buttare giù un testo – breve o lungo che sia – e non essere coscienti che, soprattutto con tastiere e simili, è molto più facile sbagliare che con le ‘vecchie’ penne a sfera o stilografiche.

E pensare che non troppi anni fa si scriveva prima la ‘brutta copia’ e il tema della maturità lo si rileggeva anche al contrario.

© Rivoluzione Liberale

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