A nessuno piace smentirsi. Dobbiamo comunque ammettere di aver peccato di eccessivo ottimismo, quando abbiamo plaudito all’iniziativa del Ministro Profumo di proporre, se non l’abolizione del valore legale dei titoli di studio, come ci ha insegnato Luigi Einaudi, almeno, in prima battuta, un contenimento del loro valore nell’ambito dei pubblici concorsi. Tale decisione avrebbe avuto il positivo effetto di ridimensionate quelle Università, che svolgono soltanto il miserabile ruolo di diplomifici, per rendere sempre più qualificati e selettivi i nostri studi accademici.

Purtroppo in Consiglio dei Ministri ha prevalso il continuismo. La proposta è stata accantonata con la formula ipocrita di raccogliere le opinioni degli italiani in merito. Non se ne riparlerà più. Peccato, è un’occasione perduta, forse per sempre. Se un provvedimento di questa natura non riesce a prenderlo un Governo di Professori, quando mai potrà essere assunto da altri?

La nostra delusione è grande, perché, insieme alla decisione di non sovvenzionare ulteriormente le cosiddette Università telematiche, sarebbe stata l’occasione per fare una necessaria riflessione sulla complessiva qualità dei nostri studi accademici.

Se nessuno dei nostri Atenei, nonostante la lunga e prestigiosa tradizione di alcuni di essi, figura nelle classifiche dei primi cento al Mondo, una ragione dovrà pur esservi. Probabilmente dipende dalla scelta di aver privilegiato il pezzo di carta, per consentire a tutti di conseguire un titolo di studio di rango elevato, rispetto alla reale preparazione. Tale scelta si è rivelata doppiamente sbagliata, sia perché ha ingenerato l’erronea convinzione, in molti giovani, che la laurea avrebbe comportato automaticamente una promozione sociale e aperto loro la strada al mondo del lavoro, sia, e soprattutto, perché ha prodotto un abbassamento del livello dei nostri studi superiori per tener conto anche degli studenti culturalmente più deboli.

Il Governo tecnico, composto in maggioranza da professori, che dovrebbero conoscere molto bene tali problematiche, avrebbe dovuto cogliere l’opportunità unica, offerta dal Ministro Profumo di avviare un processo virtuoso, che, nei prossimi anni,  avrebbe influito sulla qualità delle nostre Università, le quali sarebbero state indotte a scelte più selettive. Anche all’interno del Governo tecnico di Mario Monti, ha prevalso la cultura perdente del pezzo di carta e del titolo di studio concesso come un cavalierato, anziché quella einaudiana, che vige in tutti gli Stati avanzati del Mondo, di attribuire all’Università un rango veramente superiore.

Una simile svolta culturale avrebbe imposto, come conseguenza, un maggiore rigore nei concorsi pubblici, cominciando dalle Università stesse ed avrebbe contribuito a modernizzare il nostro Paese per renderlo più competitivo.

Dopo le parziali delusioni nel campo delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, in cui poco o nulla di significativo è stato fatto, oltre agli annunci, se, anche per quanto concerne gli studi di eccellenza, il Governo dei professori non si è rivelato in grado di compiere una scelta coraggiosa, non ci rimane che imporre a noi stessi maggiore cautela di giudizio, dopo l’iniziale entusiasmo.

Comprendiamo che l’Esecutivo deve tenere conto che i suoi provvedimenti dovranno passare sotto le forche caudine del Parlamento, ma anche l’istituto delle dignitose dimissioni deve far parte di una cultura di Governo, degna di questo nome; principalmente se si tratta di tecnici, svincolati da condizionamenti e non di politici di professione, i quali ultimi hanno invece l’obbligo di tenere conto del consenso delle masse popolari.

Un Partito politico, come il PLI, che ha, sempre, privilegiato le proprie idee ed i propri principi, sovente a costo di sacrifici in termini di consenso, non può spiegarsi come altrettanto non possa fare un Governo del Presidente per l’Emergenza Nazionale, come quello in carica.

Abbiamo accettato la enorme, e forse ingiusta, stangata fiscale del Decreto di Dicembre, che ci ha portato dritti alla recessione, perché sapevamo che sarebbe servito a far recuperare all’Italia la perduta credibilità internazionale.

Siamo rimasti, dopo, molto delusi per un Decreto sulle liberalizzazioni, che si è principalmente accanito con le categorie deboli di tassisti, farmacisti e professionisti, senza toccare banche, assicurazioni, ferrovie, ENEL, Terna, RAI, Finmeccanica e Partecipazioni Statali in genere, mentre per la separazione della SNAM rete gas dall’ENI si è dato un lunghissimo termine di sei mesi, che francamente ci induce a sospettare che, alla fine, si potrebbe arrivare ad una soluzione “all’italiana”. Attendiamo inoltre decisioni drastiche in materia di privatizzazioni per la riduzione dell’enorme debito pubblico.

Tutto questo non basta a revocare la nostra fiducia nel Governo, ma certamente ci renderà, da oggi, più prudenti e guardinghi.

© Rivoluzione Liberale

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2 COMMENTI

  1. Nel merito, sono al 100% d’accordo con tutto quello che scrive l’on. de Luca. Ma se la politica é “l’arte di rendere il necessario possibile”, il possibile per un Governo di tecnici che non ha maggioranza propria non é certo illimitato. Puó darsi che il Governo, giá impegnato fino al collo nella vitale trattativa sul lavoro, abbia preferito non aprire ora un ulteriore e pericoloso fronte di tensione con gli studenti, di cui conosciamo la capacitá di mobilitazione, su un tema che interessa da vicino centinaia di migliaia di famiglie. É piú che certo che lo deve fare più in là, in acque piú tranquille. Nel frattempo, a fine dell’esperienza Monti, nel momento che stiamo vivendo, non penso sia un’opzione per il Paese. GIOVANNI JANNUZZI

  2. Quando si parla di Laurea non bisogna mai dimenticarsi di tenere in condo almeno di due elementi: 1) l’Università che eroga gli insegnamenti; 2) lo studente. Occorre stare quindi molto attenti a non pensare semplicisticamente che nella preparazione conti soltanto quale Università si abbia frequentato: “Ti sei laureato alla Bocconi come Sara Tommasi o il figlio di Bongiorno? Allora tutto Ok!”. Personalmente credo che un peso rilevante lo abbia proprio lo studente con le sue capacità e il suo impegno: non dimentichiamoci che persone come Bill Gates, o il tanto osannato Steve Jobs, neanche si sono laureati.
    Inoltre non è possibile ritenere a priori che chi si laurea in una Università telematica sia più scarso di uno laureato alla Bocconi. Alla fine dei conti è la quantità e la qualità dello studio a fare la differenza. Nella maggior parte delle Università “tradizionali” le lezioni non vengono quasi mai tenute dai “Professori”, ma dai loro assistenti che si mettono con i loro appunti a scrivere a raffica sulla lavagna, se hai capito, bene, altrimenti, sono fatti tuoi.
    Almeno nelle Università telematiche le videolezioni sono tenute dai “Professori” e con il tasto rewind quel concetto, che in prima battuta non avevi capito, ti viene “gentilmente” ripetuto tutte le volte che vuoi. Senza contare poi l’azzeramento dei tempi e costi per gli spostamenti, l’azzeramento dei costi di alloggio, ecc.
    Siamo nell’era della banda larga e vogliamo ancora pensare che le informazioni siano accessibili soltanto se si va in un’aula stipata di persone?
    Via! Cerchiamo di essere un po’ più liberali! 😉

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