Dal Presidente Napolitano in giù, con la parziale e non proprio incomprensibile eccezione di alcuni esponenti del PDL, la scomparsa dell’ex-Presidente Scalfaro ha dato origine a un vero e proprio coro di elogi (che, ad esempio, non avevano accompagnato la scomparsa del suo predecessore Cossiga). Elogi, in gran parte, giusti: durante tutta la sua carriera politica, che ha abbracciato più di mezzo secolo, Oscar Luigi Scalfaro si è dimostrato un vero democratico e un vero cristiano, un uomo di grande integrità personale, di forti principi e con un forte senso delle istituzioni e dello Stato. Nel suo settennio presidenziale, si é trovato per forza delle circostanze al centro della vita politica, molto più di ogni altro suo predecessore: si può discutere se si sia comportato correttamente con Berlusconi e il centro-destra, non si può peraltro negare che ha retto i fili della politica con mano ferma, dando al Paese tre ottimi Governi, quelli diretti da Amato, Ciampi e Dini e li ha sostenuti con autorità e saggezza.
Fin qui le luci. Vediamo le ombre. Non a tutti persuase il suo discorso del “non ci sto”, che parve più una trovata retorica che una difesa seria del proprio operato con i fondi del Ministero dell’Interno (stiamo parlando di cento miliardi annuali delle lire di allora). Su questo avrebbe fatto meglio a fare chiarezza, con dati, elementi, cifre o, in mancanza, lasciare, anzi invitare una libera e indipendente indagine. Non penso che quel comportamento nascesse dal bisogno di nascondere qualcosa (anzi, lo escludo, conoscendo bene l’ex-Presidente) ma certo fu il segno di un carattere ombroso e autoritario, che talvolta giungeva al limite dell’intolleranza. Pochi, forse nessuno, ricordano che il giovane deputato Scalfaro si rese noto alle cronache degli anni 50 schiaffeggiando una signora che, in un locale pubblico, si era mostrata, secondo lui, troppo scollata. Pochi, o nessuno, ricordano la durezza con cui mise una pietra tombale sulla carriera politica di Enzo Scotti, Ministro degli Esteri dimissionario, tacciandolo quasi di tradimento o abbandono del posto. Scotti, di cui ero allora Capo di Gabinetto, era convinto che quella durezza, vestita di moralismo, nascesse da vecchi rancori sorti al momento del passaggio delle consegne tra Scalfaro e lo stesso Scotti al Ministero dell’Interno. Questo avveniva nel 1992: Scotti, una delle risorse migliore della nostra politica, ha fatto una traversata del deserto di 16 anni prima di superare l’interdetto scalfariano, con l’elezione a deputato e l’ingresso come Sottosegretario nel Governo Berlusconi del 2008.
Personalmente, con l’ex-Presidente ho avuto una relazione complessa. Mi trattava con affetto nel ricordo di mio padre, compagno con lui di tante battaglie dei primi decenni del dopoguerra, e uomo di fede pari alla sua (anche se meno integralista). Poi un giorno venne a sapere che, da Direttore degli Affari Economici, avevo partecipato a un congresso dei radicali, su invito di Pannella e della Bonino, per parlare di Europa. Si era sparsa la voce, del tutto falsa, che mi fossi iscritto a quel partito. I radicali, come ha ricordato Marco Pannella, erano stati i primi a sostenere la candidatura di Scalfaro al Quirinale (lo definivano “il Pertini cattolico”) però presto tra le due parti era sceso il gelo a causa del “laicismo” radicale che non poteva essere gradito al Presidente. Lo scontento del Presidente si manifestò subito: durante un viaggio a Bruxelles mi dette prove di freddezza tanto evidenti da essere preoccupanti (mi fece escludere tra l’altro da una colazione offerta dal Re Baldovino, con grande stupore dei belgi).
Poi, il caso volle che il Presidente, con il suo seguito, ed io, ci ritrovammo alla messa del mattino nella bella Abbazia della Cambre. Conoscevo il parroco, che aveva sposato mia moglie e me, e questi mi abbracciò con affetto e mi invitò a far da guida in italiano al Presidente per la chiesa, che conoscevo nei minimi dettagli. Il Presidente realizzò che non ero un pericoloso mangiapreti e il suo carattere, fondamentalmente buono e umano, tornò a prevalere. Mi prese affettuosamente per il braccio e non mi mollò più per tutta la mattinata, parlandomi soprattutto del Re Baldovino, della sua pietà che egli ammirava profondamente – e ovviamente condivideva – e volle sapere tutti i dettagli della relazione che univa la famiglia di mia moglie alla Dinastia belga. Mi ricevette con affetto quando stavo per partire per la NATO e, anni dopo, fu il primo a comunicarmi con entusiasmo la mia nomina ad una grande sede latinoamericana.
Ho citato – e me ne scuso – un episodio personale, solo perché credo che contribuisca a fare un poco di luce su una figura complessa: un carattere certo intransigente, alle volte intollerante e certo con una visione autoritaria del proprio ruolo. Ma anche profondamente retto, e capace di gesti di inattesa umanità. Non l’eroe democratico e repubblicano che alcuni vogliono descrivere, ma certo uno dei protagonisti migliori di mezzo secolo di politica italiana. La sorte ha voluto che gli abbiano succeduto due Presidenti di altrettanto rigore morale, senso delle istituzioni e chiara visione degli interessi del Paese, che non ce lo hanno fatto in alcun modo rimpiangere.
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Prendo atto che anche questo commentatore sorvola agevolmente sui cento milioni al mese, e preferisce parlare della grande integrità dell’uomo.. Mi pare curioso!