“Un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori”. Come se fosse stata pronunciata tutta d’un fiato, è l’epigrafe che campeggia in testa al Palazzo della Civiltà del Lavoro all’Eur, a Roma.

Non ci facciamo mancare nulla, qualitativamente parlando, e le proprie virtù è bene sbandierarle ai quattro venti, inciderle sulla pietra quando le caratteristiche peculiari di un Paese diventano storia.

La crisi economico-finanziaria ha intaccato diversi settori, anche l’amor proprio e l’autostima, cosicché ci si ritrova a inorgoglirsi per i bei tempi andati attraverso qualche scritta che serve a ricordarci chi eravamo (e chi dovremmo essere). E’ un vizio antico: credere che le imprese dei nostri predecessori siano farina del nostro sacco, suscitando lo stupore e l’incredulità di forestieri che ascoltandoci faticano a capire chi siamo davvero.

Siamo allora in regressione più che in recessione e non si sa cosa sia peggio. Brutta fase di intorpidimento cultural-ideologico per l’Italia da un paio di anni a questa parte; e la caccia al colpevole non servirà a scagionarci dalle nostre responsabilità.

Si dice che i partiti siano in crisi, svuotati, incapaci di tirare fuori il meglio dai suoi rappresentanti, e che per questo si siano aggrappati alle spalle di Monti per non dover ammettere all’elettorato di non riuscire a fare meglio. Si vivacchia, si approvano i decreti legge senza colpo ferire, le riforme passano (e meno male), ma manca quel sacro fuoco che incendia il dibattito politico da dove fuoriescono idee e contraddittori che avvicinano il cittadino alla cosa pubblica anziché allontanarlo. E se la montagna andasse da Maometto invece che il contrario?

Va tanto di moda l’antipolitica, che poi non si è capito se è il disinteresse per l’argomento in sé o il rifiuto verso una ‘certa’ politica, quella che tradisce macchiandosi di corruzione per esempio, ma mettersi di traverso per partito preso è sempre un errore.

Perché quindi invece di gridare ‘dagli all’untore’ il cittadino non tira fuori dal cilindro un crogiuolo di proposte da portare fra i politici per ora in stato di limbo?

Un laboratorio di idee aperto a tutti gli strati sociali per aggiungere quel ‘quid’ che sembra davvero mancare in questa fase di trapasso dalla Seconda alla Terza Repubblica. Una partecipazione attiva, democratica (2.0 se vogliamo), non certo mini-dibattiti o cineforum in sperduti scantinati buoni per accapigliarsi su ideologie demodé. C’ha provato all’inizio ‘Italia Futura’ di Montezemolo, che però non è un partito ma un mezzo think thank che forse diverrà un partito; insomma, nella confusione il deragliamento è assicurato. Ma c’è chi invece, consapevole di quanto sia importante, inizia a percorrere questa strada: è il PLI che proprio ieri ha organizzato a Roma una Convegno (ne parliamo sempre oggi in altra pagina del giornale) per cercare di far coincidere la Politica con le esigenze reali dei cittadini.

Internet sarebbe il veicolo migliore per diffondere questo grande opuscolo dei suggerimenti dal quale attingere sempre più spesso. Una piazza virtuale che potrebbe servire alla politica per incontrare davvero gli italiani, uno spazio sempre aperto al confronto, abbandonando pieghevoli e adesioni senza richiesta che imbottiscono le cassette della posta.

Capacità di ascolto con una grande fucina in grado di forgiare proposte a ciclo continuo per sancire se non la pace almeno l’armistizio fra chi fa politica e chi la vuole aiutare a (ri)farsi.

© Rivoluzione Liberale

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