A volte, e più spesso di quanto ci si possa immaginare, essere Liberali fino in fondo significa sottoporre a periodica revisione e rivisitazione alcune convinzioni che caratterizzano la nostra visione della società e delle questioni che in essa, in un continuo ribollire e mescolarsi, si svolgono ed evolvono.
Uno di questi casi mi sembra quello del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (il c.d. “aborto”) garantito, entro certi limiti, alla donna dalla legge 194 del 1978.
La svolta della 194 è certamente stata una pietra miliare nella legislazione sociale italiana; essa ha sancito il sacrosanto principio della libera scelta della donna rispetto alla maternità ed alle sue conseguenze stabilendo, d’altro canto, un giusto, laico e costituzionale arretramento dello Stato rispetto alla sfera morale ed individuale del singolo.
Peraltro, a sancire la sintonia tra il Parlamento ed il Corpo Elettorale su quella vicenda, nel 1981 il popolo difese la 194 sconfiggendo la consultazione referendaria che tendeva a depotenziarla proposta dal Movimento per la Vita e dalla Democrazia Cristiana.
Il risultato referendario, come qualche anno prima sul “divorzio”, mise alla luce anche un’altra circostanza mai troppo considerata dai “media”; vale a dire quella di un Corpo Elettorale che si riteneva profondamente, ed in stragrande maggioranza, “cattolico ed osservante” che invece, dinnanzi alla tutela della sua libera scelta individuale, si dimostrò bulgaramente in dissenso e “disobbediente” rispetto a Santa Romana Chiesa.
Chiaramente la 194 è un valore da difendere, un risultato rispetto al quale non si può certamente tornare indietro. Tuttavia, dopo 34 anni, è lecito chiedersi se si possa, invece, andare avanti.
Questa riflessione nasce dal fatto che ormai sia consolidata, nel tessuto sociale, la convinzione rispetto al diritto di libera scelta della donna che si tramuta in un maggiore, e più ampio, diritto alla maternità. I dati più recenti (agosto 2011, Ministero della Salute) ci mostrano peraltro come il tasso di abortività sia ormai in costante calo (rispetto al 1983 siamo quasi al 50% in meno) e lo è ancor di più se si estrapola il dato delle cittadine italiane rispetto a quelle straniere residenti in Italia. Altri due dati, certamente grossolani in questa sede, ci dicono che circa la metà delle IVG è compiuta da donne regolarmente coniugate ed in possesso di occupazione lavorativa. Questi dati, anche se in maniera estremamente superficiale, inducono alla deduzione che l’aborto ormai venga utilizzato con molta più consapevolezza e sia dunque giunto il momento di fare un passo avanti cercando di introdurre anche per i padri, come si fece per le madri oltre trent’anni or sono, un inizio di tutela del loro “diritto alla paternità”.
Su questa, come su altre, riflessione occorre sgomberare il campo dai pregiudizi e dalle dicotomie bipolarizzanti, come ogni buon Liberale dovrebbe fare. Ovviamente non si può non partire dal semplice, che magari può sembrar banale, e cioè che ove vi sia un concepito esiste anche un padre, oltre che una madre. Ma oggi, secondo la 194, il padre di un concepito non ha alcun diritto “di dire la sua” sulla scelta della madre in termini di IVG. Francamente questo appare come un “vulnus” della libertà personale troppo grave per continuare a passare sotto silenzio. Un sacrosanto principio liberale, al quale tutti dovremmo attenerci con più attenzione, recita che la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri ed invero sembra che sia giunto il tempo che la madre debba riconoscere nel “diritto alla paternità” quanto meno un contraltare al suo totale arbitrio sul concepito. Dopo tanti anni si è ormai dimostrato che il diritto alla libera scelta della donna non sia più in discussione; si tratta soltanto di dare anche ai padri un riconoscimento della loro libertà. In fondo, e fuor di ironia, è vero il che il diritto di “gestione dell’utero” è e resta della donna, ma è colpa dell’uomo quella di non possedere un utero da gestire?
Se il padre vuole il figlio e la madre no è davvero solo il possesso dell’utero a fare la differenza in questa discriminazione di libertà? Esiste o no il diritto di un uomo a scegliere di essere padre una volta che ha contribuito a concepire un figlio, così come abbiamo stabilito, e come difendiamo, quello della donna di scegliere di essere madre? E se questo diritto esiste, può esso essere totalmente conculcato dall’altra metà del cielo, senza che noi laici e cultori delle libertà ci interroghiamo su questo?
Ecco perchè, da Liberale, sento l’esigenza di una riforma in tal senso della 194 o, quantomeno, dell’apertura di una riflessione e di un dibattito su queste problematiche.
Certo è grande il rischio di una strumentalizzazione e di una mistificazione. Il diritto alla paternità è sempre stato un cavallo di battaglia del Vaticano per “depotenziare” la 194 e proprio noi, che della 194 siamo e siamo stati sostenitori, dovremmo rimetterla in discussione in tal senso? Personalmente ritengo che tra noi sia più importante difendere il valore del laicismo, piuttosto che contrapporci sempre e comunque alle posizioni della Chiesa Cattolica; ed il laicismo ci insegna che una questione va affrontata senza alcun pregiudizio, ma solo in base all’interazione tra le idee, i fatti e le prospettive. In tal senso credo che i Liberali debbano avere il coraggio di portare all’attenzione della società questo problema studiando e proponendo soluzioni che preservino il diritto di scelta della donna temperandolo però con una qualche forma di riconoscimento e tutela del diritto alla paternità dell’uomo. In un paese che vogliamo portare verso la Rivoluzione Liberale non possiamo, proprio noi e per paura di non essere capiti, tenere soppresso un fondamentale diritto dell’individuo per favorire totalmente e senza appello alcuno quello di un altro individuo di sesso opposto.
© Rivoluzione Liberale

Ottimo commento, molto cristiano ” in senso positivo;”il diritto alla paternità è un valore laico importantissimo da affermare come ponte di dialogo tra cattolici e laici, anzi, direi tra tutti i cristiani ed i laici.
Questo vuol dire affermare il diritto dei cristiani di poter definirsi anche liberali; io anni fa, sono stato tra quelli che ha votato la proposta referendaria per il diritto alla vita, proposta dal movimento per la vita; quella volta non ero ancora liberale, ma lo rifarei anche oggi da liberale, perchè il diritto alla vita del concepito è un tema etico sensibile, che investe valori personali interiori, in sostanza, non è come il divorzio, al quale invece da liberale sono favorevole, ” se una coppia divorzia, non uccide nessuno”, mentre se una donna abortisce di aborto procurato, uccide un feto.
Stà quì la differenza, l’affermazione del diritto alla vita, affermazione del diritto alla vita per rilanciare laicamente il dialogo tra laici e cristiani, è sicuramente un’occasione da non perdere.
Poi aggiungo, che la legge 194, tollera anche casi di aborti, anche oltre il terzo mese di gravidanza, cosa gravissima, che va urgentemente rivista.
Penso che per i liberali, invece che difendere il concetto di libero aborto, sia conveniente politicamente ottenere dal governo un piano organico per il sostegno reale alla maternità, sopratutto oggi che il calo delle nascite, crea alla nostra economia gravi problemi; in sostanza non possiamo più appoggiarci all’immigrazione straniera, per riequilibrare il saldo oggi negativo tra nascite e decessi.
L’Italia è degli italiani, non degli stranieri, motivo per cui, bisogna che in italia nascano più figli.
Saluti.
Caro Gani,
grazie per la replica.
Tuttavia vorrei puntualizzare alcune questioni.
Nel merito è vero che la 194 consente l’aborto, in alcuni casi, oltre il terzo mese e comunque al massimo entro il sesto. Tuttavia trattasi di IVG “terapeutica” applicabile solo nel caso in cui la prosecuzione della gravidanza costituisca un rischio per la salute della madre. Tengo a chiarire che eliminare questa possibilità mi vede del tutto contrario.
In secondo luogo lei attua una dicotomia politica tra laici e cristiani che, a mio modesto avviso, non esiste o sarebbe meglio che non esistesse. Il laicismo è un atteggiamento, un sistema di regole, che preserva ed applicata la laicità dell’individuo; vale a dire l’affrontare delle questioni (anche al di fuori della sfera religiosa) senza pregiudizi, senza dogmi. Per cui uno può benissimo essere cristiano (scelta interiore e personale) pur essendo perfettamente laico nelle questioni “civili”. Per come la vedo io il cristiano laico è colui che tiene per se e per la sua vita i comportamenti cristiani in cui crede, lasciando a chi non crede il dirittto di scegliere come comportarsi. Non vedo perchè si debba proseguire su questa strada (biecamente alimentata da ambienti vaticani e religiosi in genere) secondo la quale il laicismo sia incompatibile con il cattolicesimo. Quanto al “diritto alla vita” del concepito credo che le cose stiano bene così come stanno. Devono essere i genitori, prima del termine di legge, a scegliere cosa fare. La genitorialità deve essere il frutto di una scelta non di un decreto o di una legge. Se poi, in 30 anni, le IVG sono calate del 50% significa che legge ha funzionato perfettamente. Si è legalizzata e resa più sicura una pratica che prima era clandestina e pericolosa e non c’è stato questo boom di aborti, semmai esattamente il contrario. Questo è una valore ed un precedente, a mio avviso, da difendere.
Quanto al fatto di chi sia l’Italia, caro Gani, credo che sia di coloro che la amano, la scelgono e contribuscono a renderla migliore. Che lingua parlino, da dove vengano o quale sia il colore della loro pelle non mi importa affatto. La cultura liberale è inclusiva non esclusiva. Chiudersi rispetto al mondo, alla diversità, alla commistione fra culture è come, per l’appunto, rifiutare il laicismo rifugiandosi nel dogma. Lo ritengo un atteggiamento debole e di retroguardia.
Un cordiale saluto.