Una non-notizia resterà sempre tale. Un giovanissimo Dino Buzzati, approdato in via Solferino come praticante, fece per anni il cronista a Milano saltando da un commissariato all’altro a caccia di storie, spunti, fatti. Altri tempi, altri mezzi, si pensi ad esempio al nervoso ticchettio delle macchine per scrivere che appesantivano le scrivanie di redazioni fumose dove si sono fatti le ossa i migliori scrittori – prima che giornalisti – del Novecento italiano. Si ‘batteva’ la strada nel vero senso della parola, il giornalista era talvolta il testimone oculare dei fatti. La sua presenza in Loden e taccuino alla mano è parte integrante di una fotografia in bianco e nero che ritrae l’Italia del secolo scorso. La professione (il ‘mestiere’ se preferite) si è evoluta (o involuta?) nel corso degli anni grazie anche e soprattutto alle nuove tecnologie. Nuovi canali d’informazione, new media, e il giornalismo fa oggi i conti con una trasformazione dai lati talvolta perversi e nefasti.

Non serve andare a ritroso nel tempo, basta aver visto “Tutti gli uomini del presidente” di Alan Pakula (1976) per avere un’idea di come la professione veniva svolta ‘appena’ quarant’anni fa. Roba artigianale, ma con un’attenzione così scrupolosa nel reperire documenti e dichiarazioni che ce la sogniamo oggi. Si badi bene, qui non si vuole tirare fuori dal cilindro un ‘trattatello’ deontologico con le regole base della professione, al contrario si vuole mettere in luce alcuni aspetti negativi del giornalismo 2.0. Una ricerca di ‘Lewis Pr’ evidenzia dove trovino ispirazione i giornalisti di oggi nel generare la notizia: l’83% è presente su Facebook, il 70% su LinkedIn, mentre Twitter raccoglie il 69% delle iscrizioni. Il 9%, invece, dichiara di non aver sottoscritto nessun profilo. Per quanto riguarda l’affidabilità, solo il 5% dei giornalisti intervistati ripone piena fiducia in questi mezzi, mentre l’8% non si fida minimamente. La maggior parte (62%) li considera abbastanza attendibili, preferendo sempre e comunque verificarne la veridicità. Una volta c’erano le ‘fonti’ (primarie e secondarie), imprescindibili prima di divulgare qualsiasi notizia, oggi c’è la rete. Il problema è che i ‘fake’ sono dietro l’angolo e con essi il rischio di prendere delle cantonate pazzesche. Secondo la visione romantica ma estremamente efficace di Ryszard Kapuściński ne Il cinico non è adatto a questo mestiere. Conversazioni sul buon giornalismo “… è sbagliato scrivere di qualcuno senza averne condiviso un po’ la vita”.

Nei giorni scorsi Kevin Backley, giornalista inglese del “The Guardian”, ha dichiarato che le dimissioni di Fabio Capello da commissario tecnico della nazionale inglese sono scaturite da una traduzione sbagliata delle dichiarazioni dello stesso ex allenatore della Juventus. “E’ cominciato tutto con un tweet inviato da un giornalista italiano la sera in cui Capello era ospite a una vostra trasmissione, ha detto Berkley a “5 minuti di recupero” su Rai1. Questo tweet è stato successivamente ripreso da varie agenzie e quotidiani inglesi scatenando il caos. Il problema è che la traduzione delle dichiarazioni di Capello era sbagliata. La cosa assurda è che la stampa inglese abbia preso per buono un tweet di un giornalista senza verificare la traduzione dell’intervista”.

Come si può vedere, è bastato un ‘cinguettio’ sul web per generare una sequela di errori macroscopici che hanno fatto in modo che la notizia passasse per vera. Blog, social network, forum, tutto è utile per infarcire una notizia, ma niente di tutto ciò può essere considerato indispensabile prima di redigere un articolo. Con un’impalcatura del genere il crollo della credibilità è garantito, senza contare che con la velocità con la quale girano le notizie in www il ‘misunderstanding’ raggiunge livelli incredibili. Ne va non solo il rispetto per il lettore, ma anche della notizia stessa, che non può essere mutilata, gonfiata o – come abbiamo visto – creata dal nulla. Diceva un vecchio giornalista che una notizia per essere considerata tale deve essere ‘croccante’. Noi aggiungiamo che deve essere anche insaporita, masticata e poi deglutita prima di andare in stampa.

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