La speranza condivisa è quella che il governo del Professor Mario Monti possa affrontare, per la prima volta in sessant’anni di Repubblica, i temi cruciali del riassetto istituzionale del nostro Paese. Ci sono dei problemi, che pur sembrando marginali, hanno però un’importanza strategica in chiave di sviluppo. Uno su tutti è il bicameralismo perfetto. Esso, in condizioni di maggioranze politiche e non tecniche, rallenta il processo legislativo oltre ogni ragionevole necessità. Di questa riforma si parla ormai da decenni ma non è mai stato raggiunto alcun accordo.

Invece ora pare che questo Governo possa dire effettivamente la sua, sia su un riordino costituzionale sia su un riequilibrio economico. In tutto questo c’è un partito che, storicamente, il riassetto istituzionale l’ha sempre considerato un pilastro fondamentale della propria ideologia politica: la Lega Nord. Anti-statalista, anti-fiscalista e federalista per eccellenza (anche se a volte concettti liberamente interpretati) ha sempre fatto pressioni affinché si riformasse lo Stato in questa direzione. Ora, a rigor di logica, se il Governo Monti dovesse intraprendere la strada della riduzione dei parlamentari e della cessazione del bicameralismo perfetto, il Carroccio dovrebbe quantomeno festeggiare con un bel bagno nel Po. E invece dalle parti di via Bellerio, a qualcuno, comincia a gelare il sangue nelle vene. Già, perché ora la Lega è all’opposizione e l’ordine pre-elettorale è quello di un attacco serrato al Governo, senza se e senza ma.

Se le divisioni interne stanno già da qualche tempo facendo salire la pressione a Bossi, il rischio che queste riforme vengano intraprese, certamente farà aumentare gli scontenti nel partito. Se infatti di fronte a giusti provvedimenti dovesse arrivare il niet del Senatur, molti parlamentari saranno pronti a dargli battaglia. Diversi esponenti hanno già manifestato la loro preoccupazione nel caso il leader decidesse per la linea dura, affermando che non sarebbe coerente tirarsi indietro di fronte a riforme tanto agognate.

La coerenza. Se negli ultimi tempi è stata tralasciata per tentare un recupero elettorale non riuscito, le future votazioni su eventuali proposte di legge saranno la prova del nove per comprendere la nuova forma che i leghisti stanno assumendo. Cioè di un’opposizione a capofitto tanto condannata quando stavano al governo, distruttiva, legata a scontri di posizioni e non d’idee, che polverizzerebbe qualsiasi credibilità del partito; oppure di un sentimento di responsabilità nazionale pronto ad assecondare quelle riforme tanto necessarie al nostro Paese.

Di certo Bossi non può tentennare. Alle elezioni manca un anno e se realizzate, le modifiche saranno approvate a ridosso della scadenza naturale della legislatura. Oltre che con la pressione bassa ‘re Umberto’ dovrà fare i conti con il mal di testa causato da queste importanti decisioni. In ballo c’è la solidità del suo partito. Il rischio di spaccarsi completamente di fronte a scelte così importanti è tutt’altro che improbabile. Sia mai che a breve la Lega si assumesse la responsabilità di non attaccare il Governo, ma contribuisca a riforme così importanti per l’Italia.

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