Sui troppi emendamenti, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dà una bella strigliata al Parlamento. E’ accaduto nel caso del decreto ‘Milleproroghe’ (approvato lo scorso venerdì, 24 febbraio 2012) al centro del dibattito politico della settimana e dell’interesse mostrato dal Presidente, che dopo la promulgazione non ha lesinato critiche alle due Camere, relative alla quantità di modifiche apportate al testo approvato in precedenza dal Consiglio dei Ministri. In sostanza, il contenuto dei numerosi emendamenti non è piaciuto al Capo dello Stato. In una lettera inviata sia alla Camera dei Deputati, sia al Senato, Napolitano ha rilevato, “in spirito di leale collaborazione istituzionale, la necessità di attenersi, nel valutare l’ammissibilità degli emendamenti riferiti a decreti-legge, a criteri di stretta attinenza allo specifico oggetto degli stessi e alle relative finalità, anche adottando, se ritenuto necessario, le opportune modifiche dei regolamenti parlamentari, al fine di non esporre disposizioni, anche quando non censurabili nel merito, al rischio di annullamento da parte della Corte Costituzionale per ragioni esclusivamente procedimentali ma d’indubbio rilievo istituzionale”.
L’Inquilino del Quirinale ha detto inoltre di ritenere “utile che vengano informati delle mie considerazioni i Presidenti dei gruppi parlamentari e i Presidenti delle Commissioni permanenti. Com’è noto la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 22 del 2012, depositata il 16 febbraio scorso ha, per la prima volta, annullato disposizioni inserite dalle Camere in un decreto-legge nel corso dell’esame del relativo disegno di legge di conversione. Lo ha fatto in relazione alla legge di conversione del decreto-legge n. 29 dicembre 2010 n. 225 (cosiddetto ‘Milleproroghe’), anche per “estraneità” alla materia e alle finalità del medesimo, a tutela dello speciale procedimento di conversione in legge previsto dall’articolo 77 della Costituzione”.
Già con una lettera di soli due giorni prima, Napolitano aveva sottolineato la necessità di limitare gli emendamenti ammissibili, in sede di conversione dei decreti-legge, a quelli sostanzialmente omogenei rispetto al testo originario del decreto, in considerazione della particolare disciplina costituzionale e regolamentare del procedimento di conversione nonché a garanzia del vaglio preventivo spettante al Presidente della Repubblica in sede di emanazione del decreto-legge e di quello successivo sulla legge di conversione. Anche per la difficoltà di esercitare la facoltà di rinvio prevista dall’articolo 74 della Costituzione in prossimità della scadenza del termine tassativo di sessanta giorni fissato per la conversione in legge”. La massima carica dello Stato ha insistito, dimostrando quanto tenga in seria considerazione l’argomento e ricordato che anche “in occasione del recente ‘Milleproroghe’ del 29 dicembre 2011, n. 216, sono stati ammessi e approvati emendamenti che hanno introdotto disposizioni in nessun modo ricollegabili alle specifiche proroghe contenute nel decreto-legge e neppure alla finalità indicata nelle premesse di garantire l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa. Le disposizioni così introdotte, se in possesso dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza, avrebbero dovuto trovare più corretta collocazione in un distinto apposito decreto-legge. Come è noto, il Capo dello Stato – ha aggiunto Napolitano – non dispone di un potere di rinvio parziale dei disegni di legge e non può quindi esimersi dall’effettuare, nei casi di leggi di conversione, una valutazione delle criticità riscontrabili in relazione al contenuto complessivo del decreto-legge, evitando una decadenza di tutte le disposizioni, comprese quelle condivisibili e urgenti, qualora la rilevanza e la portata di queste risultino prevalenti”.
Sempre la settimana scorsa, nell’impazzare della polemica legata al pagamento dell’IMU (ex ICI) anche da parte degli immobili proprietà della Chiesa, il Presidente, in occasione della presentazione, a Roma, del libro Per carità e per giustizia. Il contributo degli istituti religiosi alla costruzione del welfare italiano, ha affermato che “il contributo dei cattolici nei campi della cooperazione, educazione, istruzione e assistenza, sanitaria e sociale, a favore di quanti vivevano in condizione di povertà e precarietà sociale ed economica” è stato “rilevante” negli anni. E, superando i “momenti critici del rapporto con le nuove istituzioni dello Stato unitario, ha consentito al mondo cattolico di concorrere allo sviluppo economico-sociale del Paese e alla maturazione di valori, quali quelli della mutualità, solidarietà e convivenza pacifica, che trovano oggi consacrazione nella nostra Carta costituzionale”, ha concluso Napolitano.
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