Il regime di Bachar el-Assad vuole ‘domare’ a qualsiasi prezzo i ribelli di Homs per evitare che questo snodo strategico nel cuore della Siria non diventi un’altra Misrata, la città libica che una volta conquistata dai ribelli aveva segnato l’inizio della fine di Gheddafi. Diversi osservatori internazionali sono convinti che se il regime siriano non riuscirà a soffocare la rivolta a Homs, Damasco e Aleppo potrebbero cominciare a fremere.
Sembrerebbe che l’esercito ‘regolare’ abbia espugnato il quartiere di Baba Amr ad Homs. Dopo settimane di incessanti bombardamenti ai quali ha risposto un’accanita resistenza, il controllo è passato di mano. Ma i ribelli della ‘capitale rivoluzionaria’ sono determinati a lottare fino alla fine e hanno già definito ‘tattica’ questa ritirata. Baba Amr non è un quartiere qualunque. Se nel 1982 il simbolo da abbattere era Hama, oggi è Baba Amr. Venti anni fa, la rivolta dei Fratelli Musulmani fu schiacciata dalle forze di Hafez el-Assad, padre di Bachar: una carneficina. Anche oggi il regime andrà fino in fondo, ma non può permettersi di fare 20mila morti come ad Hama. Bombarda per terrorizzare i civili e svuotare il quartiere. Solo quando non resteranno più che i ribelli, potrà radere al suolo Baba Amr. Oggi i ribelli se ne sono andati per permettere alla Croce Rossa di muoversi meglio (se mai riuscirà ad arrivare), ma la loro partita è rimasta a metà e ogni minuto è prezioso per la salvezza di questa povera gente. Sembra di rivivere un assedio del Medioevo, nulla è cambiato.
Perché Homs? Homs è la terza città della Siria, snodo industriale importante per via delle sue raffinerie, si trova all’incrocio tra Damasco e il nord del Paese. La sua provincia confina con il nord del Libano, a maggioranza sunnita e simpatizzante con la rivolta. E’ anche il crocevia più importante dal quale transitano le merci della Turchia e verso i Paesi del Golfo, dei gasdotti e oleodotti. Una città così strategicamente importante che quando la Siria era ancora sotto mandato francese, ci si chiese se farne la Capitale.
Se la città va in mano all’opposizione, il Paese viene tagliato in due, ecco perché il regime si accanisce contro Homs. Prendendo la città, disturberebbe anche l’azione dell’ASL (Esercito siriano libero) che riceve le armi dai territori confinanti con il nord del Libano. La città poi concentra le tensioni confessionali del Paese: il centro, sunnita, ha visto di cattivo occhio la creazione di una periferia alauita, nata negli anni Sessanta. Gli Alauiti rappresentano il 25% della popolazione di Homs, monopolizzano i posti nell’Amministrazione, infiammando la frustrazione delle classi popolari sunnite, che si contendono lavoretti precari o il contrabbando con il Libano. Come spesso accade, all’inizio la rivolta nei quartieri sunniti e poveri è stata scatenata dalla fame.
Oggi il gioco si fa sempre più duro. La lotta armata dei ribelli sembrerebbe formalmente appoggiata dall’opposizione politica (CNS) che, incapace di far cadere il regime di Assad con le manifestazioni , ha finalmente annunciato la nascita di un ‘ufficio militare’, riconoscendo l’importanza di controllare la resistenza in Siria. Questo ufficio dovrebbe coordinare l’azione dell’ASL e un comitato creato da un altro generale disertore. Washington non ha nascosto i suoi timori nel vedere ‘armare’ l’opposizione, ha paura che Al-Qaeda approfitti della violenza, ma sono sempre più quelli che salutano positivamente questa decisione. Kuwait e Qatar sono fra loro.
Di fronte alle violenze che hanno causato più di 7.600 morti dal marzo 2011 e a una emergenza umanitaria gravissima, il Consiglio per i Diritti umani ha adottato la risoluzione presentata da Turchia e Qatar (Russia, Cina e Cuba hanno votato contro sostenendo che non conteneva i segnali necessari a permettere una bozza di dialogo costruttivo), che condanna, ancora una volta, le violazioni sempre più gravi sui diritti umani in Siria e fa appello al regime di Assad ad autorizzare l’accesso incondizionato all’ONU e alle agenzie umanitarie. Il regime, che secondo le Nazioni Unite aveva negato alla responsabile delle operazioni umanitarie Valerie Amos l’autorizzazione a entrare in Siria per valutare lo stato della situazione umanitaria nel Paese, si è giustificato giovedì scorso (1° marzo 2012) affermando che la data proposta non andava bene e che erano pronti a organizzare un altro appuntamento.
Ma il tempo passa ad Homs. Pechino ha dato il suo appoggio all’invio di aiuti umanitari, senza entrare nel merito della questione. Mosca da parte sua accetterebbe di lavorare con Kofi Annan, ex Segretario generale delle NU, nominato all’unanimità emissario dell’ONU per cercare una soluzione ‘pacifica’ al conflitto. La Russia, non vuole abbandonare il suo alleato storico (voci di corridoio dicono che sia stata Mosca a orchestrare il discusso Referendum di domenica 27 febbraio, consigliando ad Assad di modificare la Costituzione togliendo al partito Baas il monopolio), ma ‘pressata’ dalla sua diplomazia, vuole mostrare la sua buona volontà e considera Kofi Annan un compromesso accettabile. La Russia poi, non vuole diventare lo Stato ricordato per aver sostenuto senza condizioni un regime massicciamente discreditato sulla scena internazionale. Lo sa bene Putin e lo sa anche Washington.
La Russia torna dunque in modo preponderante in Medioriente. I partiti islamici crescono anche a casa sua, e questo la preoccupa. Prossimo appuntamento per lei, il 7 marzo a Ryad con i Ministri degli esteri delle sei Monarchie del Golfo. Ma non solo Russia. La Turchia da parte sua ha dichiarato essere disposta a ospitare la prossima Conferenza internazionale degli ‘amici della Siria’, dopo quella di Tunisi della scorsa settimana. Poco più di due mesi fa scrivevamo su questo giornale un articolo dal titolo Siria: l’Occidente sta perdendo il suo onore. In Siria si continua a morire, fuori continuano a scorrere fiumi di parole. Kofi Annan sarà in grado di trasformare tutto quest’ orrore in onore? Sicuramente non riusciamo a pensare a una replica del 19 marzo 2011.
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