Lo scorso 29 febbraio la Bce ha operato il primo intervento diretto dall’inizio dell’anno, immettendo 530 miliardi di euro a titolo di prestito verso il sistema bancario europeo, e attuando così una strategia politica monetaria non convenzionale, ossia ad hoc per la crisi, detta di quantitative easing. Tale strategia è indirizzata all’aumento di liquidità monetaria sui mercati finanziari per allentare la morsa del credito, una condizione da manuale economico in cui le banche limitano fortemente la concessione di prestiti (a privati, imprese e anche tra banche stesse), per limitare l’esposizione al rischio durante una situazione economica incerta.
Questa prima operazione del 2012 si pone in perfetta continuità con l’ultima del 2011, risalente al 21 dicembre, che aveva visto altri 489 miliardi riversarsi sui mercati finanziari europei allo stesso scopo (di cui 116 destinati all’Italia). Tuttavia, i dati forniti dalla Bce stessa (Bollettino mensile, Bank Lending Survey), mostrano una grossa falla nell’efficacia della manovra di dicembre, che fa temere che anche a questo giro gli effetti reali possano essere minimi: tra dicembre e gennaio i prestiti bancari alle imprese e alle famiglie italiane si sono ridotti di venti miliardi, il costo dei finanziamenti alle imprese è salito dal 2,7% del gennaio 2011 al 4% del gennaio 2012 e il tasso di interesse sui mutui, nello stesso arco di tempo, è passato dal 3,15% al 4,15%. Tutto questo a parità di tasso di prestito da parte della Bce, pari all’1%. Di fatto, la maggior parte della liquidità fornita è stata utilizzata dalle banche italiane per acquistare i titoli di Stato, con un rendimento del 5%, e il rimanente è stato trattenuto come incremento delle riserve.
Il meccanismo che impone di passare attraverso il sistema bancario per acquistare i titoli di Stato è siglato nero su bianco sin dal Trattato di Lisbona, che ai sensi dell’Art. 123 vieta alla Bce “la facoltà di acquistare direttamente i titoli di debito emessi dai governi o da altri enti del settore pubblico, ma non ne impedisce l’acquisto sul mercato”. Una clausola di molto precedente all’attuale crisi, senza la quale la Bce potrebbe finanziare direttamente i titoli di Stato, senza la perdita di liquidità osservata una volta che i prestiti rimangono invischiati nella stretta del credito. Se da un lato l’acquisto di titoli da parte delle banche ha permesso una boccata d’ossigeno e la discesa del temuto spread tra titoli italiani e tedeschi, dall’altro poco o nulla ha fatto per ridare liquidità al sistema produttivo o alle famiglie italiane.
Ma c’è anche un ulteriore rischio nascosto: le banche stanno diventando sempre più dipendenti dalla Banca centrale per la raccolta dei fondi sul mercato, passato dai 130 miliardi del 2010 a soli 24 nel 2011, mentre il ricorso al finanziamento per mezzo delle operazioni della Bce è più che quadruplicato (da 50 a 212 miliardi). La strategia politica economica fin qui adottata sembra quindi un palliativo, nemmeno tanto efficace, in attesa di tempi migliori che, (anche) a causa della strategia stessa, sembrano sempre più lontani.
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