Doveva essere una prova di popolarità per il regime, e non ha deluso. Quasi il 64% degli iraniani aventi diritto al voto si è recato alle urne lo scorso venerdì 2 marzo per eleggere i deputati della loro Assemblea islamica, primo voto organizzato dalla controversa rielezione alla presidenza di Mahmoud Ahmadinejad nel giugno del 2009. “La votazione in massa di trenta milioni di iraniani dà un grande schiaffo su quella sporca e detestabile faccia dell’Occidente”, ha dichiarato il giorno dopo lo scrutinio il quotidiano ufficiale del Governo ‘Iran’, alludendo alle pressioni politiche, economiche e militari dei Paesi occidentali contro il controverso programma nucleare di Teheran. Le Legislative del 2008 non avevano raccolto che il 55,4% degli elettori.
Il regime iraniano aveva scommesso molto sulla partecipazione a queste elezioni. Per diverse settimane i media del Paese hanno alimentato la vena nazionalista della popolazione, con l’obiettivo di dimostrare “la forza e la determinazione del popolo iraniano” di fronte alle sanzioni e alla minaccia di attacco militare. Altra sfida importante per la Repubblica Islamica, era superare l’annunciato boicottaggio dell’opposizione ‘verde’, esclusa dalla vita politica iraniana dal giugno 2009 e che ha definito lo scrutinio di venerdì una “farsa” elettorale.
Secondo gli osservatori (pochi e debitamente dislocati), si è registrato un calo dei partecipanti nelle grandi città, disperate per la crisi economica e la repressione politica. Ma nelle provincie, i ceti medi e quelli più svantaggiati hanno risposto positivamente all’appello. Il loro sostegno può giustificare questo relativo successo elettorale per le autorità iraniane? Sicuramente c’è stata qualche irregolarità in alcune circoscrizioni, dove dei deputati hanno denunciato la compravendita di schede, ma globalmente la cifra del 64% pubblicizzata dal regime, è plausibile su scala nazionale, proprio per l’attenta regia mediatica.
Come previsto è tra conservatori che si è giocata la partita. E in questo turno sono gli avversari di Ahmadinejad a essere passati. Il nuovo Parlamento iraniano resterà, come il precedente, largamente dominato dai conservatori vicini alla Guida Suprema, Ali Khamenei, di fronte a un’opposizione riformatrice ridotta ai minimi termini. Il grande rinnovamento dei deputati, l’elezione di numerosi candidati ‘indipendenti’ e le complesse alleanze politiche rendono tuttavia aleatoria qualsiasi previsione sul peso delle diverse fazioni nella futura Assemblea, e soprattutto l’equilibrio tra simpatizzanti e avversari del Presidente iraniano. Il nuovo Parlamento, dal quale sono in pratica spariti i riformatori, conserverà, a sentire i deputati rieletti o neo-eletti, tuttavia una linea molto ferma sulla questione nucleare, punto focale del conflitto sempre più aspro tra l’Iran e gli Occidentali.
Conservando solamente diciannove seggi contro i sessanta precedenti, l’opposizione riformatrice che aveva ampiamente boicottato lo scrutinio per protestare contro la repressione della quale è stata vittima negli ultimi due anni, non farà in sostanza più parte del gioco parlamentare. Dei 290 seggi del Majlis, 225 sono stati assegnati il giorno stesso delle elezioni. Il Ministro degli Interni Najar ha dichiarato che altri 65 saranno ripartiti (25 vanno alla capitale) dopo il secondo turno, previsto nella prima metà di Ordibehesth (in base al calendario persiano inizia il 21 aprile). Ma la cosa fondamentale è che nessuna delle due coalizioni conservatrici – il Fronte Unito dei conservatori al quale appartengono gli avversari di Ahmadinejad e il Fronte della perseveranza che raggruppa i suoi difensori – è riuscita ad imporsi. Analizzando i dati e le informazioni più disparate arrivate dai media, sui 222 eletti al primo turno, il Fronte Unito diretto dal presidente del Parlamento uscente, non ha ottenuto che quarantatré seggi e il Fronte della perseveranza solo dieci. Cinquantaquattro sono i candidati presenti simultaneamente sulle liste delle due coalizioni – una caratteristica della vita politica iraniana – ed eletti senza che si sappia quale partito appoggeranno. La stessa incertezza la danno gli ottantanove deputati ‘indipendenti’, la cui lealtà è una vera incognita e che sono riusciti, in un modo o nell’altro, a farsi eleggere contro i candidati dei principali movimenti. Cinque seggi sono poi andati ai rappresentanti delle tre minoranze religiose riconosciute dalla Repubblica Islamica, i cristiani, gli zoroastriani e gli ebrei (seconda comunità ebraica del Medioriente).
Il Presidente iraniano che dovrebbe lasciare il potere nel 2013, rischia di essere messo veramente in minoranza nel nuovo Parlamento; anche se il Parlamento ultra conservatore continuerà la sua strategia pro-nucleare e attuerà una politica radicale, i parlamentari tenteranno di dare un’immagine nuova al loro prossimo Presidente. Ahmadinejad non piace più, è superato e anche in seno agli stessi conservatori ha creato divergenze, basta vedere la spaccatura tra le due coalizioni. Ma dobbiamo rimanere con i piedi per terra, l’Iran non ha ancora intrapreso la strada della pacificazione con l’Occidente. Se molti deputati non hanno ancora deciso in che campo stare, ciò non toglie che la stragrande maggioranza di loro sia per la linea dura. Non possiamo aspettarci sorprese dalla nuova legislatura che si aprirà ufficialmente il 26 maggio prossimo.
Per gli alti prelati sciiti, Ahmadinejad ha tentato per troppo tempo di scippare il potere alla Guida Suprema intervenendo sempre di più su questioni teocratiche, suo dominio riservato. Diversi gruppi molto influenti hanno fatto blocco per privarlo di una vittoria alle Legislative. Tra di loro ci sono i potenti Guardiani della Rivoluzione, influenti membri del clero, ricchi mercanti e diversi dirigenti politici ultra-conservatori. Decine di simpatizzanti di Ahmadinejad sarebbero stati messi in prigione o destituiti dai loro incarichi dopo essere stati accusati di appartenere a correnti ‘deviate’. Per la Guida Suprema, la priorità è preservare l’integrità dell’ordine religioso stabilito. Secondo alcuni esperti, nonostante la crescente antipatia per il Presidente e le continue accuse di aver portato il Paese sull’orlo del fallimento, la presenza di Ahmadinejad potrebbe però essere necessaria per contenere la crescente pressione internazionale. Il suo allontanamento potrebbe incoraggiare l’Occidente a inasprire la sua politica e l’opposizione vedrebbe riaccendersi la fiamma rivoluzionaria. L’establishment in questo momento deve sembrare forte e unito, ma il futuro rimane pieno di incertezze. Certo Ahmadinejad accanto a Khamenei sembrerà un dirigente rispettabile, tollerante e democratico. Ci auguriamo non doverlo rimpiangere.
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