Il Capo della Chiesa ortodossa copta, Patriarca Shenouda III, è morto sabato 17 marzo, lasciando dietro di sé una comunità molto angosciata per la spinta islamista che si è avuta in Egitto dopo la destituzione del Presidente Mubarak nel febbraio 2011.
La morte del Patriarca egiziano sembra essere un vero colpo basso per i cristiani d’Egitto. In realtà la salute dell’ottantottenne Shenouda III era precaria da diversi anni, combatteva un male incurabile da tanto tempo. Eletto nel 1971, Shenouda III era però più che un semplice uomo di Chiesa. Ricordiamo che nel 1981 Shenouda era stato ‘esiliato’ nel Monastero di Wadi Natrik, in mezzo al deserto, in seguito a un aspro conflitto con l’ex Presidente Sadat. Tuttavia, da quel momento in poi, le sue relazioni con il Regime e il deposto rais Mubarak, sono sempre state solidissime. Il Patriarca aveva fino all’ultimo appoggiato la candidatura di Gamal Mubarak a capo del Paese, rendendo l’ultima fase del proprio pontificato piuttosto controversa. Come controversa è stata la difesa di alcuni postulati teologici, uno fra tutti il totale rifiuto del divorzio.
Da quando è scoppiata la Rivoluzione di Piazza Tahrir, gli attacchi perpetrati contro la comunità cristiana in suolo egiziano hanno avuto una crescita spettacolare. La morte di Shenouda III è arrivata, anche se non del tutto inaspettata, in un momento molto critico per la comunità copta che deve far fronte alla scalata dell’Islamismo sancita dalle ultime elezioni legislative. Se è vero che i Fratelli Musulmani hanno presentato ufficialmente le loro condoglianze al popolo copta e uno dei loro leader, Saad El Katany, Presidente del Parlamento, ha lodato Shenouda per essere stato “un uomo rispettato sia dai cristiani copti che dai musulmani” per il suo amore verso l’Egitto e per la sua feroce opposizione all’annessione di Gerusalemme dallo Stato Ebraico, non dobbiamo dimenticare che i membri del Partito salafista al-Nour si sono rifiutati di osservare un minuto di silenzio in Parlamento perché non lo giudicavano un comportamento “contemplato dall’Islam”. Alcuni membri del Partito hanno lasciato la sala alla richiesta di El Katany.
Intervistato da una rete televisiva locale, il portavoce del Partito, Nader Bakkar, ha detto di non voler criticare nessun musulmano che aveva risposto all’appello, alludendo ai membri del Partito ‘Libertà e Giustizia’ dei Fratelli Musulmani, ma semplicemente riprendere i princìpi della Sharia. Bakkar ha voluto anche precisare che il suo Partito aveva trasmesso le condoglianze alla comunità copta il giorno stesso della morte del Patriarca. Quest’atteggiamento della frangia dura degli Islamici in Parlamento non tranquillizza la comunità copta. I cristiani temono che la perdita del loro Capo spirituale spinga qualche estremista ad approfittare del vuoto temporaneo per estendere le discriminazioni.
Le grandi manovre sono cominciate per designare il successore con un rituale che non fa che inasprire le tensioni in seno alla comunità. Al di là dell’unanimità ecumenica sventolata ai quattro venti su tutta la stampa egiziana, Shenouda III, come abbiamo visto, non era un Capo incontestato. Conosciuto per il suo autoritarismo, conservatorismo e soprattutto per la sua vicinanza con il vecchio Regime, aveva degli avversari anche in seno alla comunità copta, che sembra contare tra il 6 e il 10% della popolazione egiziana. E’ stato molto criticato per aver scoraggiato all’inizio del 2011 le manifestazioni di Piazza Tahrir che si sarebbero poi trasformate in Rivoluzione e trascinato Mubarak alla fine della sua corsa. Una presa di posizione che gli era valsa la sfida di alcuni giovani copti durante la sua ultima messa di Natale.
Ora cosa succederà? Il successore sarà eletto da un’assemblea di settantaquattro vescovi affiancati da un gruppo di copti scelti tra gli alti funzionari, religiosi e notabili membri di grandi famiglie del Paese. Tre candidati arriveranno in testa e sarà un bambino che sceglierà, a caso, il futuro Papa. La lotta intestina che cova da anni in seno al clero sta affiorando, prova ne è la rosa dei candidati più ‘papabili’. Uno dei pretendenti più accreditati è monsignor Moussa, il ‘Vescovo dei giovani’ che si è sempre speso per il dialogo con i Protestanti anglicani. Lui stesso è stato Anglicano prima di raggiungere la comunità copta, ma ha anche lottato per la modernizzazione della Chiesa, lotta che gli ha messo contro alcuni membri della vecchia guardia. All’inizio della Rivoluzione, quando il Regime sembrava ancora solido, aveva mantenuto una posizione di neutralità, contrariamente al defunto Papa che aveva ripetutamente ‘proibito’ di manifestare. E’ grazie a lui che i copti hanno trovato il loro posto nella Rivoluzione. Dalla parte opposta c’è il Vescovo Youannis, segretario personale di Shenouda III, carica che sembra ‘favorirlo’ nella successione. Younnais è anche conosciuto per la sua vicinanza allo Stato, e cioè alle forze perpetrate dal vecchio Regime. Non ha mai esitato a dichiarare che la Vergine Maria gli era apparsa per dirgli che sarebbe stato il 118° Papa. La Rivoluzione ha sicuramente introdotto un certo pluralismo in questa comunità chiusa per molto tempo in uno stretto conservatorismo e per questo anche molto isolata. Molti gruppi di giovani sono nati dal gennaio 2011 e ci vorrà un grande sforzo di coordinazione per far sì che crescano.
Più di trecento candidati copti hanno partecipato alle elezioni legislative. Riusciranno a imporsi singolarmente nelle campagne e nelle periferie più povere? I partiti politici permetteranno ai copti di partecipare al loro ‘gioco’? La risposta a queste domande arriverà solo quando verrà designato il nuovo Papa. Il problema dei copti d’Egitto si risolverà solo se questi parteciperanno alla vita politica come cittadini comuni, senza cadere nuovamente nella trappola dell’isolamento dal resto della società. La divisione che c’è stata in seno alla comunità si spiega per il silenzio ingiustificabile della Chiesa di fronte agli eventi. Un giovane manifestante si è rivolto così a Shenouda: “Chiedo perdono mio Papa, ma siete il nostro padre spirituale, non politico’, ammettendo anche che non si poteva cancellare improvvisamente una cultura politica incrostata da cinquant’anni anni di regime.
Di fronte alla vittoria dei Partiti Islamici, il Paese si sta ‘pachistanizzando’? I copti dovranno scappare? Secondo diversi intellettuali no, perché i partiti islamici non hanno altra scelta che la democrazia e il rispetto delle libertà. Sarà per questo impossibile che i copti vengano trattati come minoranza. C’è da augurarsi che questo ottimismo prevalga sulla troppa violenza vissuta finora e che abbia inizio un dialogo costruttivo.
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