La Seconda Guerra Mondiale, lungi dall’essersi sedimentata nell’alveo del naturale corso degli eventi storici, rappresenta ancora oggi un argomento di stridente attualità usato come puntello per sostenere le più disparate impalcature storico-diplomatiche e geopolitiche.

Poche settimane orsono, l’ambasciata statunitense in Estonia ha rilasciato una dichiarazione in coincidenza con la giornata di commemorazione dei raid aerei sovietici sulla capitale Tallinn occupata dalle truppe tedesche. Non si è tuttavia trattato di un ripetitivo tributo alla sacralità dell’alleanza antifascista e alla centralità della lotta di liberazione dei popoli europei dall’oppressione della croce uncinata, ma di un chiaro giudizio di valore sul modus operandi e sui principi ispiratori delle forze armate sovietiche.

Il fatto storico incriminato è simile a molti altri drammaticamente reiteratisi in centinaia di città Europee (e non) durante la guerra; il 9 marzo 1944 trecento apparecchi della Dal’naja Aviačija (l’aviazione a lungo raggio sovietica) effettuarono un bombardamento particolarmente violento sulla capitale estone. Mentre furono colpiti obiettivi militari di secondaria importanza, ebbero a lamentare distruzioni ben maggiori diverse strutture civili (come la chiesa di San Nicola, il teatro e la biblioteca cittadina con la sua collezione di documenti medievali). I morti assommarono a 757, di cui 586 civili, cinquanta militari e cinquanta prigionieri di guerra. Fra le macerie del teatro, apparve in seguito la scritta Varemeist tõuseb kättemaks! (La vendetta sorgerà dalle rovine!), divenuta poi titolo del foglio fatto circolare dalla 2^ Waffen-Grenadier-Division der SS costituita dai volontari Estoni.

Ancora oggi gli storici discutono sull’opportunità dell’azione, adottando posizioni che vanno dalla completa giustificazione all’azione sovietica – che andrebbe vista nel quadro della lunga battaglia di Narva (più nota come battaglia delle SS Europee), alla stigmatizzazione dell’accaduto come atto terroristico volto a fiaccare il morale della popolazione e rendere più agevole l’ingresso in città da parte delle truppe sovietiche.

In questo quadro s’inserisce il breve comunicato apparso sul sito internet dell’ambasciata degli Stati Uniti, annunciante la partecipazione dell’ambasciatore Michael C. Polt alla tradizionale accensione di candele commemorative nella chiesa di San Nicola – per l’appunto uno dei numerosi edifici distrutti durante il bombardamento aereo. I punti controversi del testo sono però altri. L’attacco viene, infatti, stigmatizzato per “its devastating loss of life and limited military efficacy” (devastante costo umano e limitata efficacia militare), mentre il capoverso conclusivo brilla per nitidezza dell’enunciazione: “Rather than breaking the spirit of the Estonian people, however, the attack strengthened the already steel resolve of the populace to struggle against foreign occupation” (Piuttosto che demolire lo spirito del popolo estone, l’attacco ha rafforzato la già ferrea determinazione della popolazione nel lottare contro l’occupazione straniera). A quale straniero si riferisce l’ambasciata USA?

Ovviamente, la replica di Mosca è stata pressoché immediata. Il sito del Ministero degli esteri ospita dal 16 marzo un secco comunicato che esprime indignazione e sconcerto per quanto affermato dagli ex-alleati. In particolare, è ritenuto “deplorevole” il comportamento dei diplomatici americani, che “di nuovo assecondano irresponsabilmente ben precise forze dei Paesi baltici miranti a distorcere la verità storica e inimicare i popoli della Russia e dell’Estonia”.

L’episodio, sotto l’apparenza della querelle diplomatica di stampo ottocentesco, cela considerevoli implicazioni. Per la prima volta dalla fine del conflitto, un funzionario di alto rango statunitense ha pubblicamente criticato l’operato dell’URSS – nel suo ruolo di alleato degli Stati Uniti – dal punto di vista militare. I media russi sono abbastanza concordi nell’affermare che l’esternazione abbia assolto ad una duplice funzione: rinsaldare il vincolo di alleanza con gli Estoni in funzione antirussa, e coprire le altrettanto dubbie campagne di bombardamento portate avanti nel corso del conflitto dagli americani.

Sono tuttavia di altro tipo le considerazioni che rilevano ai fini della nostra analisi. A distanza di settanta anni dal conflitto, è evidente come l’antifascismo non sia più percepito quale valore assoluto, essendo più che mai declinato in base a considerazioni di natura contingente e di mera machtpolitik. Il difforme trattamento che ricevono in Europa i reduci delle divisioni SS (osteggiati e ridotti al silenzio in alcuni Paesi; pubblicamente osannati e celebrati nei Paesi baltici) è semplicemente funzionale al perseguimento d’interessi geostrategici particolari – pericolosi per le mal cicatrizzate ferite che possono tornare a scoprire.

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