Ho letto di un recente incontro “per un’alleanza socialista europea”, guidata da Hannes Swoboda, cui hanno partecipato gli italiani Sergio Cofferati, Gianni Pittella, Leonardo Domenici e Nicola La Torre. Ipartecipanti hanno lanciato un programma, che sembra il patetico libro dei sogni degli sconfitti dalla storia, denso di iniziative irrealizzabili. Le soluzioni, assolutamente impraticabili, vanno da una tassa sulle transazioni finanziarie per stimolare incentivi per l’impiego e incoraggiare la ricerca, a nuove tasse sull’energia e riduzione dell’IVA. Essi inoltre propongono altri provvedimenti nel campo della green economy per la riduzione della dipendenza da combustibili fossili e nucleari, attraverso precisi projet bonds, che andrebbero emessi dall’UE e garantiti dalla BCE. Infine richiedono un prelievo di tasse su importazioni da Paesi terzi, che non rispettano le norme ambientali europee. Il documento conclude con un attacco verso la speculazione sfrenata e  sregolata, che ha prodotto la sottomissione alle superpotenze ed alla dittatura del mercato, che avrebbe penalizzato tutti i Paesi con un sistema di welfare avanzato, abbassando il tenore di vita ed aumentando le diseguaglianze. Il nuovo mantra socialista è quindi quello della responsabilità condivisa per assicurare crescita ed uguaglianza.

Ben altre sono le risposte che attende la società moderna, la quale incombe su di noi, con le sue drammatiche ingiustizie. L’esplosione dei prodotti finanziari, che avvelenano il mercato, la crisi delle esportazioni per la concorrenza dei Paesi a basso costo della mano d’opera e la chiusura delle aziende manifatturiere, principalmente medio piccole, determinano fallimenti in misura esponenziale, rispetto a quella fisiologica degli anni passati, con la conseguente perdita di posti di lavoro qualificati per migliaia di operai. La ricetta del socialismo europeo si limita a nuove tasse sulle transazioni finanziarie e dazi verso i Paesi terzi che non rispettano le norme ambientali europee, per chiudere sostanzialmente il mercato in una sorta di autarchia in nome della crescita interna e dell’eguaglianza. Il modello, ad eccezione dell’elemento nuovo costituito dalla problematica energetica,  non differisce di molto da quello adottato in passato da tutti i regimi socialisti, che ha portato miseria, sottosviluppo e scarsa competitività, con un impoverimento generale.

Esiste il problema della speculazione finanziaria, che ha drogato i mercati, ma va affrontato con la cooperazione dell’UE, del G8, del G20 e di tutta la comunità internazionale per sottoporre il mercato globale a rigide regole comuni, ancorate ai valori realmente sottostanti di cui i prodotti finanziari siano rappresentativi, evitando il moltiplicarsi cartaceo di un fenomeno speculativo. L’economia reale deve riprendere il sopravvento su quella virtuale, consentendo, in un quadro normativo internazionale, uguale e garantito, ilmassimo dilibera concorrenza; altro che autarchia e dazi!

Vi è poi un problema specifico italiano, costituito dal rischio di bruciare, con il fenomeno dei fallimenti a catena, non solo ricchezza, ma esperienza, qualità di mano d’opera specializzata, produzioni di eccellenza, con ricadute negative sulle condizioni di vita di intere comunità, che si erano sviluppate attorno a determinate attività.

Quando si parla di politiche per lo sviluppo, bisogna pensare principalmente a tale fenomeno. Molte nostre aziende manifatturiere, pur non rientrando tra quelle con produzioni obsolete, chiudono per impossibilità di recuperare i propri crediti dalla clientela e perché non sono in grado di sostenere una maggiore esposizione verso i fornitori. Tale condizione è determinata dalla revoca delle linee di credito da parte delle Banche, dall’enorme ritardo nei pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni, dalla contrazione del mercato, a causa della recessione nei generi di prima necessità. Senza perder tempo con le impraticabili ricette vetero socialiste, la strada per la ripresa è esclusivamente quella di facilitare nuove linee di finanziamento bancario per procedere agli approvvigionamenti delle materie prime e, allo stesso tempo, di rendere immediatamente esigibili i crediti, in particolare nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni. Un provvedimento legislativo urgente dovrà prevedere  la compensazione di tali somme con qualunque debito fiscale, consentendo che, gli Istituti bancari possano altresì effettuare immediate anticipazioni, ponendo un modesto tasso di interesse a carico dell’Ente debitore.

Per le attività che hanno un mercato, ma sono in una situazione di tensione finanziaria, si potrebbe infine prevedere un meccanismo sperimentale, basato su un piano di rientro dalla situazione debitoria, simile al concordato preventivo, che faciliti il rilancio dell’attività, magari affiancando all’imprenditore un commissario, per verificare se sussistano le condizioni per una ripresa, come avviene per le grandi imprese, ma evitando la svendita del complesso aziendale, con la prospettiva, dopo un certo tempo, del superamento della fase straordinaria, o dell’inevitabile chiusura dell’attività.

Le PMI notoriamente rappresentano l’ossatura portante del nostro sistema produttivo. Bisogna arrestarne una crisi apparentemente inesorabile, che non è di mercato, ma di debolezza finanziaria: recupero dei crediti, sia dai privati che dagli Enti pubblici, liquidità per pagare i lavoratori ed acquistare le materie prime, sostegno, anche tecnico, nella fase più difficile, potrebbero fermare l’emorragia dei fallimenti a catena. Un liberalismo moderno, popolare, dovrebbe invocare la necessità di una sorta di sacra alleanza tre i primi e gli ultimi della società: i più poveri, i più sfortunati, quelli che perdono o non trovano il lavoro ed i migliori, quelli che hanno le caratteristiche di intelligenza, inventiva, coraggio, intraprendenza per avviare nuove iniziative, controcorrente, pur in una fase di grave recessione.

La reale ricchezza in una società moderna è costituita dal fattore umano. Una società che non riesca a far convergere tutti i propri sforzi verso la sua valorizzazione, è destinata ad un declino inesorabile. Rimettere i conti pubblici a posto, è certo importante, ricreare un quadro normativo che elimini sprechi e privilegi, lo è altrettanto, ma la vera scommessa è quella che lo Stato possa fare in modo che i giovani possano guardare con fiducia al futuro, i lavoratori non perdano il loro posto di lavoro, riacquistando serenità e dignità, le aziende ricomincino a produrre e tornino in grado di competere, eliminando i fattori anomali che le avevano messe fuori mercato, lo Stato paghi i propri debiti e faciliti un meccanismo per il recupero di quelli privati, anche con una giustizia civile più efficiente. Senza ricorrere all’assistenza, ma con costi inferiori ed un ritorno migliore per il mercato, si possono salvare tante attività, che non sono del tutto fuori dal mercato, anzi potrebbero tornare ad essere floride, assumere giovani ed esportare.

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