Il prezzo del petrolio è tornato ancora una volta a essere un punto nevralgico dell’attenzione mondiale. Dagli Stati Uniti all’Europa il problema dell’aumento del prezzo dell’oro nero, ormai stabilmente sopra i 100$ a barile sul mercato americano e sopra i 120 per il Brent (il prezzo di riferimento per il mercato europeo), si fa ogni giorno più pesante con l’avvicinarsi delle date elettorali per Obama e Sarkozy, che hanno congiuntamente dichiarato di voler sbloccare le proprie riserve strategiche per calmierare la corsa dei prezzi.

Le pressioni del Governo francese sull’Agenzia internazionale dell’energia, che ancora deve trarre le proprie conclusioni in merito allo sblocco delle riserve, sono significative dello stato di tensione sui mercati, se paragonate ai precedenti storici in cui essa diede l’assenso ad operazioni analoghe: nel 1991, allo scoppio della prima guerra del Golfo, nel 2005, con la devastazione di New Orleans e del Golfo del Messico ad opera dell’uragano Katrina e nel giugno 2011 a seguito delle interruzioni nella fornitura libica per la rivoluzione contro Gheddafi.

Sul fronte europeo, al di là delle esigenze politiche che portano da un lato la Francia a cercare una soluzione drastica e dall’altro la Germania a rassicurare gli elettori sulla sostenibilità dei costi attuali, è innegabile che un ulteriore aumento dei prezzi – che in molte Nazioni stanno eccedendo la soglia psicologica- risulterebbe in un ulteriore rallentamento degli scambi commerciali e dei consumi, rischiando quindi di penalizzare o annullare gli enormi sacrifici fatti in nome della ripresa.

Sul fronte americano, pur anch’esso alle prese con il problema della soglia psicologica (seppur molto inferiore, 4 dollari al gallone, ossia 1 dollaro al litro), la questione si focalizza più sullo scontro interno per la successione alla Casa Bianca, con i Repubblicani che accusano il Presidente Obama di impotenza contro i giganti delle compagnie petrolifere e quest’ultimo che risponde accusando a sua volta la destra, che “boicotta gli investimenti in energie rinnovabili ma si batte per preservare i regali fiscali ai petrolieri”, che ogni anno ricevono sussidi ed agevolazioni fiscali per 4 miliardi di dollari.

Ma, paradossalmente, il trend al rialzo dei prezzi è sospinto anche da uno dei pochi successi politici del Presidente Usa condiviso dalla destra, ossia l’efficacia delle sue sanzioni contro l’Iran, il cui export a marzo è crollato del 14%.

Mentre la copertina del Time (in uscita il prossimo 9 aprile) chiede “la verità sul petrolio”, i giochi politici pongono, imperterriti, sempre più filtri tra la situazione reale della disponibilità di risorse e quella che invece viene proiettata sui media per raccogliere il consenso elettorale da una parte o dall’altra, rendendo ogni giorno più complessa un’analisi oggettiva sul futuro energetico mondiale, in un momento storico in cui invece sarebbe assolutamente necessario procedere con passo saldo e sicuro, almeno su una questione di così fondamentale importanza.

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