Lo scorso venerdì i ministri delle finanze della zona euro si sono riuniti a Copenhagen e hanno preso la decisione di incrementare il fondo salva Stati aumentandone la capacità a 740 miliardi di euro. Il Nuovo European Stability Mechanism (ESM), avrà infatti una capacità di fuoco da 500 miliardi, ai quali si devono sommare i 240 ancora nelle casse dell’European Financial Stability Facility. Il nuovo ESM non sarà pronto prima dell’inizio del 2014 e i fondi dell’ESFS saranno disponibili, invece, fino a metà 2013.

L’obiettivo di questi 740 miliardi è quello di rassicurare i mercati finanziari e dimostrare che l’Europa è pronta a far fronte ad eventuali nuove ondate di crisi. Ma i salvataggi non possono essere considerati come l’unica soluzione, come sottolineato dall’ex ministro delle finanze polacco e ora vice Premier  Leszek Balcerowicz. Balcerowicz, nel nuovo numero di Europe’s world, sottolinea come “I momenti di crisi e i conseguenti salvataggi possono servire al massimo per comprare tempo al fine di preparare le riforme, e possono aiutare a fermare la crisi nel settore bancario, ma non possono sostituirle. La soluzione – continua Balcerowicz – coincide con le riforme strutturali dei paesi in crisi”.

Rinforzato il fondo salva Stati, l’altro meccanismo per far fronte alla crisi sin qui varato è il fiscal compact, il Trattato internazionale sottoscritto da 25 Stati membri per assicurare la stabilità dei bilanci e una governance economica coordinata. Ad un primo sguardo il nuovo Trattato può essere considerato come un primo passo verso la stabilità, fondamentale per passare ad una seconda fase contraddistinta da provvedimenti per la crescita. Tuttavia lo si analizza da vicino, il Trattato sembra non essere poi così forte. Tralasciando le incertezze di diritto, dal punto di vista politico la strada verso la sua implementazione sembra essere abbastanza tortuosa. Da una parte l’Irlanda che ha annunciato che sottoporrà ad un referendum il suo sì parlamentare, dall’altra la Francia, una degli Stati promotori del Trattato, non può assicurarne l’implementazione, poiché il candidato socialista Hollande si è detto intenzionato, in caso di vittoria, a chiederne la rinegoziazione.

Queste due soluzioni alla crisi sono state discusse per più di un anno; è tempo ormai di fare un passo in avanti e di concentrarsi concretamente su serie riforme per la crescita, sia a livello nazionale che europeo. La crisi del debito sovrano, che sembrava sulla strada della risoluzione sta, infatti, lentamente ritornando. La Spagna che ha appena passato una riforma di austerity si aspetta almeno un paio di anni di recessione; lo spread italiano, nonostante i viaggi di Monti in Asia ha ripreso a crescere, sia per l’impasse della riforma del lavoro, sia per l’incertezza del futuro politico del paese; la Grecia anch’essa, con le elezioni in aprile, si trova di fronte ad una situazione politica traballante.

La soluzione, oltre alle riforme per la crescita, potrebbe essere quella di rinfrescare il sistema politico europeo, iniziando a parlare seriamente del riassetto del sistema istituzionale. Qualche giorno fa ad una riunione con i suoi colleghi europei, Guido Westerwelle, ministro degli esteri tedesco, ha proposto l’elezione diretta del Presidente della Commissione europea. Una riforma di questo tipo rafforzerebbe i partiti a livello europeo, dando più consapevolezza ai cittadini europei dell’importanza della Commissione e in generale di tutte le istituzioni. Sarebbe uno scatto politico verso un’Europa più integrata.

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