A volte, un sol fatto può indicare la fine di due epoche. E’ il caso di Umberto Bossi che lascia la Segreteria della “sua” Lega dopo decenni di incontrastata sovranità. Il suo abbandono ha segnato simbolicamente – e non solo – l’ingresso definitivo della Prima Repubblica nelle cronache del secolo scorso e la fine della Seconda. Se il Governo dei tecnici ha marcato lo start di una nuova fase politica per il Paese, ora la caduta di Bossi ha decretato la fine della precedente.

Al di là di canottiere, ampolle e dito medio, la Lega era rimasto l’unico Partito che alcuni consideravano di vecchio stampo – diremmo “prima Repubblica” – nell’organizzazione interna e nella struttura politica. Nato come movimento nel 1989 ha nel tempo potuto spaziare liberamente tra alleanze, apparentamenti e coalizioni grazie ad una sorta di “indipendentismo psicologico” che ha caratterizzato i suoi programmi e le gesta di alcuni suoi esponenti.

Nella discesa in campo del Cavaliere di Milano, il Senatur vide un alleato dal quale potersi far traghettare (pur con i leghisti eccessi indipendentistici, xenofobi e di federalismo ad uso esclusivo della “loro” Padania) in quell’era politica classificata – in origine quasi in senso “augurale” – come Seconda Repubblica. Un periodo invece che si è dimostrato come il precedente, se non peggiore: perché se nella Prima avevamo pur sempre l’aristotelica Politica al servizio del Paese, nella Seconda ci siamo ritrovati il Paese al servizio dei nuovi politici, uomini “ordinari” prestati al Parlamento per soli interessi di bottega.

Al momento, le cronache giudiziarie di questi giorni suscitano il fondato sospetto che la Lega di Bossi non si sia affatto distinta (se non per l’ormai patetico slogan “Roma ladrona”) da quelli che hanno usato la politica per esclusivo tornaconto di parte.

Ora, ci attende la naturale evoluzione dello scenario politico e i primi segnali non mancano nell’area del Centro. E’ necessario abbandonare gli steccati ideologici all’interno delle singole aree politiche di riferimento e – seppur ognuno con la propria storia e le proprie identità – lavorare affinché i Partiti individuino tra loro, non più le differenze, ma le affinità nell’interesse esclusivo di un progetto condiviso per un’Italia del futuro.

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2 COMMENTI

  1. Ottimo commento, tutto da condividere. Sembra quasi che il vecchio slogan “Roma ladrona, la Lega non perdona” debba capovolgersi.

  2. Condivido anch’io il commento di Marco Sabatini e la lapidaria considerazione dell’Ambasciatore Giovanni Jannuzzi. In effetti siamo alla nemesi storica del mantra Roma ladrona che per oltre un quarto di secolo ha accompagnato la “resistibile ascesa” di Bossi e dei suoi sodali

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