Leggo in questi giorni con un certo fastidio intere pagine di tutti i giornali piene di dettagli sull’uso scostumato che ha fatto, anchela Lega Nord, come tutti o quasi i partiti della Seconda Repubblica, delle enormi somme di denaro, ricevute attraverso il generoso finanziamento pubblico.
Senza scomodare Lombroso e la sua teoria delle tendenze criminali riscontrabili attraverso i tratti somatici degli individui, sarebbe bastato guardare bene in faccia Umberto Bossi, sua moglie, i suoi figli, Rosy Mauro o il tesoriere Francesco Belsito e l’intero cerchio magico, per ricavarne le sicure inclinazioni. L’onestà infatti non è una professione di fede o una tendenza personale, ma un fatto culturale, strettamente legato alle radici formative di ogni persona. Il concetto di peccato nella religione, come quello di reato secondo la legge, almeno in tale materia, deriva dal bisogno di imporre alla massa incolta, priva di imperativi etici interiori, determinati comportamenti. Quale epilogo meno inglorioso poteva riservarci un movimento politico basato soltanto sull’egoismo nordista e privo di qualsivoglia radice culturale, simboleggiato dalla “canotta” e dalle volgarità da taverna, nei gesti e nelle parole, ostentate dal suo capo e fondatore?
La medesima riflessione più volte l’abbiamo fatta con riferimento alla vacua opulenza del partito personalistico, concepito sul predellino e costruito a misura degli interessi del suo ispiratore, nonché di quelli dei propri colonnelli sul territorio.
I partiti politici o sono fondati su base valoriale o semplicemente non sono tali. Potranno anche essere aggregazioni di vasti interessi territoriali o corporativi e quindi raccogliere, in una società di massa, notevoli consensi, facendo leva su grandi mezzi economici, sul servilismo mediatico e su un diffuso livello di corruzione, ma saranno sempre una cosa diversa da ciò che dovrebbe contraddistinguere i soggetti destinati, in democrazia, a fungere da cinghia di trasmissione tra la società e le Istituzioni.
I recenti scandali sull’uso spregiudicato dei generosi finanziamenti statali ai partiti, sia quelli già morti, come la Margherita o Alleanza Nazionale, ma anche a quelli morenti che in atto siedono in Parlamento, rappresentano l’infelice epilogo di un ventennio in cui la politica è stata mortificata e ridotta a volgare scontro per il potere, con eccessi verbali ed un susseguirsi di scandali senza precedenti.
E’ stato richiesto al Governo di emanare un urgente Decreto Legge, che riformi la normativa sui cosiddetti rimborsi elettorali ai partiti e stabilisca controlli rigorosi. Non concordiamo! Come fu stabilito da un referendum popolare, immediatamente aggirato dal Parlamento, il finanziamento pubblico deve essere semplicemente abolito. Per tale motivo condividiamo l’iniziativa di IDV di indire un referendum abrogativo e lo sosterremo, pur non avendo nulla che ci accomuni politicamente al soggetto politico promotore.
Come in molti Paesi di democrazia liberale, i cittadini devono poter destinare una quota in seno alla propria dichiarazione dei redditi alle forze politiche, analogamente a quanto è previsto per le Chiese e per le attività di alto valore sociale. Inoltre eventuali ulteriori donazioni, dovrebbero essere considerate fiscalmente detraibili, ma ogni Euro concesso direttamente dall’Erario, costituisce un fatto immorale. Lo è ancora di più se si tratti di partiti estinti, lo è altrettanto, per altro verso, aver deciso di escludere dal presunto rimborso le formazioni minori, che abbiano partecipato alle elezioni, come il PLI, le quali dovrebbero invece trovarsi in condizione di competere alla pari con le altre. L’unico modo per garantire che ciò si possa realizzare, è di affidare ai cittadinila scelta. Seil disgusto verso la politica ha raggiunto un livello così elevato da far temere che un tale sistema determinerebbe la impossibilità di tenere in vita gli attuali elefantiaci apparati dei maggiori partiti: pazienza. Anzi significherebbe voler rispettare la sensibilità degli elettori.
La Politica conla “P” maiuscola, come la intendiamo non può non risorgere attraverso la rinnovata eticità di un ceto politico, motivato, anziché da interessi, da visioni diverse ed in grado di far sognare in nome di una utopia. I cosiddetti partiti leggeri, carismatici, plebiscitari, non sono altro che gruppi di interesse e pressione corporativa o territoriale, destinati al fallimento. Questo riguarda non soltanto il PDL e la Lega, Ma anche il PD, costruito in laboratorio, senza collante identitario, come la miriade di soggetti autonomisti, meridionalisti, o civici, che sorgono come funghi e che hanno quale orizzonte soltanto la conquista di posizioni di comando, non l’obiettivo di scommettere sul futuro del Paese. Un cambiamento radicale favorirebbe innanzi tutto, in un Paese spezzato in due, una necessaria, paziente e generosa opera di unificazione, non solo geografica, ma culturale, morale, di consapevolezza dei diritti e dei doveri civici, del livello del benessere e dello sviluppo, attorno al concetto superiore di Nazione. Si tratta insomma di ricominciare esattamente da quella visione, che accomunava, prima della tragedia del fascismo, la classe dirigente liberale, che aveva fatto l’Italia. La medesima che, nello spirito della Resistenza, aveva, per un breve tempo, contraddistinto gran parte del ceto politico dell’ultimo dopoguerra e che consentì la ricostruzione ed il miracolo economico.
Per far questo è necessario abbattere tutto quello che si è palesato in quest’ultimo ventennio e cancellare tutte le formazioni politiche, che lo hanno rappresentato.
Un ritorno in campo dei partiti a fondamento ideale postula un nuovo, importante ruolo di quello liberale, che potrebbe rappresentare il lievito per una grande formazione politica, che abbia l’ambizione non soltanto di guidare il Paese, ma di restituirgli il posto che gli compete tra le grandi Democrazie Liberali avanzate del Mondo intero.
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