[Nell’ambito del Dossier “Radici del pensiero liberale” – che ha già visto le stampe con la raccolta in un volume degli articoli pubblicati – iniziamo con questo intervento un nuovo percorso di analisi attraverso l’approfondimento dei grandi temi nella storia del Pensiero liberale. NdR]

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L’individuo è il punto di partenza e l’obiettivo a cui l’attività politica liberale mira costantemente. Questo concetto fondamentale del pensiero liberale affonda le sue radici nella concezione aristotelica della scienza politica come scienza architettonica che deve mantenere l’autonomia e l’armonia fra le diverse sfere individuali.

Benjamin Constant (1767-1830), comparando la libertà degli antichi alla libertà dei moderni, rimarca la sfera di autonomia individuale a disposizione dei moderni, nella quale lo Stato non può intervenire (libertà privata): “L’indipendenza individuale è il primo bisogno dei moderni […] la vera libertà moderna”. Gli antichi greci invece, nella realtà delle poleis, concepivano solo la “libertà pubblica” o collettiva, ossia la partecipazione diretta alle decisioni della comunità, compatibile con l’asservimento dell’individuo all’autorità dell’insieme. Dalla distinzione di Constant emerge la contrapposizione fra liberalismo e democrazia, anche se egli pone chiaramente nella libertà politica – cioè nella partecipazione – la vera ed ultima garanzia della “libertà da” (libertà negativa): assenza di impedimenti all’azione dell’individuo. La “libertà di” (libertà positiva) individua invece le sfere d’azione del soggetto.

In tempi più recenti la Scuola Austriaca, guidata da Ludwig von Mises (1881-1973), formulando la teoria soggettiva del valore, considera l’azione umana il mattone fondamentale dell’intera realtà sociale, economica e politica, del diritto. “Ogni azione razionale è in primo luogo un’azione individuale”, afferma Mises: “Solo l’individuo pensa. Solo l’individuo ragiona. Solo l’individuo agisce”. Murray Newton Rothbard (1926-1995), allievo di Ludwig von Mises, aggiunge che  “solo gli individui hanno fini e possono agire per perseguirli. Non esistono fini delle azioni imputabili a ‘gruppi’, ‘collettività’ o ‘Stati’, che non possono essere ricondotti ad azioni di specifici individui. […] Perciò affermare che i ‘governi’ agiscono non è che una semplice metafora; […] solo gli individui possono desiderare e agire”. In pratica, gli uomini agiscono per passare da una situazione ritenuta peggiore ad una considerata migliore, preferendo l’azione all’inazione.

L’individuo deve comunque fare i conti con la scarsità di mezzi e deve inoltre saper “scegliere”: scegliere significa selezionare i fini da realizzare e i mezzi da adottare per conseguirli.

Saldando fatti e valori, teoria e prassi, l’individuo dà senso alla realtà politica, sociale ed economica e solo il riferimento costante all’azione individuale consente la comprensione dei suddetti ambiti della realtà. “Per una collettività sociale – afferma Mises – non v’è esistenza e realtà al di fuori delle azioni dei membri individuali”. In questa prospettiva “lo Stato non è né freddo né caldo, perché è un concetto astratto in nome del quale uomini in carne  e ossa […] agiscono. Ogni attività statale è azione umana”. È l’individuo il vero protagonista della moderna libertà politica ed economica e l’idea di una società “che possa operare o manifestarsi separatamente dall’azione degli individui è assurda”: le entità collettive possono essere conosciute soltanto “attraverso l’analisi delle azioni degli individui” e “la società non è altro che la combinazione di individui per uno sforzo comune”.

Mises, inoltre, sottolinea che “il corso della storia è determinato dalle azioni degli individui e dagli effetti di queste azioni”: sono gli individui che fanno la storia e non viceversa. La storia universale non è una realtà astratta, ma la sintesi concreta delle vicende individuali, ognuna di per sé unica ed irripetibile, che interagiscono fra loro a vari livelli e in presenza di diverse condizioni.

Al pari di altri grandi esponenti del liberalismo (Röpke, Sturzo, Popper, Hayek, Rothbard) per Mises il liberalismo non è una teoria dogmatica o un credo ideologico fisso, rigido e inamovibile. Il liberalismo è, al contrario, un atteggiamento mentale dinamico, che si traduce costantemente in azione. Come tale, si infiltra negli interstizi della vita politica, sociale ed economica degli individui con l’applicazione di norme e teorie scientifiche che, tenendo conto della intrinseca fallibilità umana, nascono dall’intenzione concreta di perseguire il perfezionamento del benessere umano e quindi l’innalzamento della qualità di vita degli individui.

Il liberalismo è per Mises una pratica di pensiero e di azione: la sua prasseologia o scienza dell’azione umana – lo studio dell’umano agire che si concentra sui problemi che nascono dal rapporto mezzi-fini – delinea un ‘ethos’ che, similmente al modello sociale delineato da Popper, risulta “aperto”, mai perfetto ma perfettibile, e che quindi può essere continuamente migliorato.

La realtà che ci circonda non è inoltre interamente conoscibile, ma neppure totalmente ignota. Se tutto fosse noto, come direbbe Hayek, ben poco resterebbe da dire anche della libertà; e, al contrario, se non esistesse nulla di minimamente certo, la vita umana sarebbe, allo stesso modo, priva di libertà perché privata, alla radice, della possibilità di trovare un benché minimo orientamento. Fra la presunzione di onniscienza e il pessimismo gnoseologico esiste una terza via, percorsa anche da Mises: è la via della ragione che sa riconoscere i suoi limiti ed è proprio all’interno di essi che si dispiega l’azione umana, conscia della sua costitutiva fallibilità. Il realismo di Mises, pur tenendo conto che vi sono o vi potrebbero essere realtà più grandi del singolo in quanto tale, afferma il primato pratico dell’individuo: in termini protagorei “l’uomo è misura di tutte le cose” e la realtà è la sintesi, in continuo divenire, delle diverse misure individuali. In quest’ottica, la società presunta perfetta è la negazione della società ‘aperta’, la cui anima (liberale) è il confronto delle opinioni, il dialogo, la comunicazione e l’inter-azione tra gli individui, in pratica l’essenza del vivere civile.

In quest’ottica, come afferma Ralf Dahrendorf (1929-2009), “la democrazia esige uno spazio pubblico che sia in condizioni di mediare interessi ed opinioni degli uomini col processo decisionale delle istituzioni politiche, o di mediarli nelle istituzioni politiche. Il caso ideale è rappresentato da uno spazio pubblico costituito da uomini liberi” anche se, nella realtà dei fatti, continua Dahrendorf,  “l’ideale spazio pubblico democratico, viene sempre falsificato, sia mediante la rappresentanza, sia mediante la manipolazione” e quest’ultima, molto spesso, è per Dahrendorf di natura mediatica.

In Law, Legislation and Liberty (1986) Friedrich von Hayek (1899-1992) afferma che la libertà è fondamentalmente ‘individuale’: essa corrisponde ad una condizione che riguarda la persona in quanto individuo equipaggiato di una sfera privata attorno a sé che gli altri non possono valicare. La libertà è allora essenzialmente assenza di interferenze o di coercizioni esterne. Quando l’uomo è costretto a seguire dei fini impostigli dagli altri, e non dal proprio libero esercizio intellettuale, si riduce a uno stato di schiavitù. L’individualismo non va però confuso con l’egoismo: “La confusione dell’individualismo con l’egoismo – afferma Karl Popper in La società aperta e i suoi nemici – consente di condannarlo in nome dei sentimenti umanisti e di far appello a questi stessi sentimenti per difendere il collettivismo. Attaccando infatti l’egoismo sono sotto tiro i diritti dell’individuo”.  La “società aperta” di Popper, non è imprigionata dai dogmatismi di una ragione assoluta o ideologica ma è caratterizzata dalla sua capacità di liberare le valenze critiche dell’individuo.

La vera sostanza dell’individualismo, sottolinea Hayek in Verso la schiavitù (1944), consiste nel “riconoscere l’individuo come giudice supremo dei propri fini, ritenere che, nei limiti del possibile, sono le sue opinioni a dover governare i suoi atti”. Anche l’economia di mercato – sistema sociale della divisione del lavoro e della proprietà privata – non sfugge a questa connotazione e la libertà politica è intrinsecamente legata alla libertà economica. L’individuo ‘sceglie’ ciò che reputa la cosa migliore per se stesso e, spronato da determinati progetti o obiettivi, agisce sulla scia dei fini che ‘sceglie’ di perseguire.

Muovendo dall’esigenza di accantonare la moderna scissione tra l’universo dei fatti e quello dei valori Murray N. Rothbard sottolinea che quanto vi è di maggiormente nobile nella tradizione liberale consiste proprio nell’aver considerato il fatto umano come un valore morale inviolabile. “In virtù della condizione stessa di essere un uomo egli deve usare la ragione per scegliere fini e mezzi; se qualcuno gli usa violenza per imporgli di cambiare la rotta liberamente scelta, questo vìola la sua natura, vìola il modo in cui l’individuo deve operare. In sintesi, un aggressore esercita la violenza per sviare il corso naturale delle idee e dei valori liberamente adottati da un uomo e delle azioni che si fondano su tali valori”.

Porre l’accento sul carattere individuale dell’azione umana non significa però assecondare un individualismo sfrenato. Il significato dell’autonomia dell’individuo risiede nella sintesi tra il senso di responsabilità e il libero arbitrio guidato dalla ragione, e ciò non vuol dire ‘autarchia’. In una prospettiva humiana, inoltre, ognuno perseguendo i propri fini, e tendendo quindi a soddisfare i propri bisogni di necessità, interagisce con gli altri. In pratica, sia in modo diretto sia in modo indiretto, la soddisfazione individuale passa sempre per la soddisfazione dell’Altro: “agendo – afferma Mises – ognuno serve i propri concittadini. Ognuno è in se stesso mezzo e fine; fine ultimo per se stesso e mezzo per gli altri nei loro tentativi di raggiungere i propri fini”.

In questo contesto, sul piano economico, in un regime di libero mercato, “non v’è automatismo, ma solo uomini che perseguono coscientemente e deliberatamente i fini scelti”: il libero mercato è un’istituzione sia cooperativa che competitiva il cui fulcro è l’individuo, che in virtù delle sue capacità, delle sue inclinazioni e del suo lavoro, si integra nelle dinamiche economiche per proprio conto costruendo, nel contempo, il benessere dell’intera comunità di individui. Come afferma Rothbard “il libero mercato è una società di scambi, volontari e di conseguenza mutuamente vantaggiosi, di titoli di proprietà tra produttori specializzati”; il mercato, inoltre, prima ancora di essere un fatto reale è un fatto morale che si basa su un’etica (sociale) della libertà fondata sulla proprietà di sé stessi e dei propri beni e il cui pilastro è il primato della persona singola, unica, libera e irripetibile.

Il fine politico per eccellenza, la libertà, è un prodotto sia della ragione sia della natura ma solo l’uso della ragione indica all’individuo ciò che per lui è un bene, la vera libertà. La vera libertà corrisponde alla completa emancipazione etica ed economica dell’uomo il quale si realizza, pienamente, come ‘individuo liberale’ nella partecipazione politica, garanzia di tutte le altre autonome libertà.

La ‘natura umana’, ciò che insieme all’‘essere razionale’ è, in termini aristotelici, l’essenza dell’uomo, rappresenta il baricentro del pensiero politico liberale che fonda sul libero arbitrio e sulla dignità dell’individuo – individui non etero diretti ma autonomi e autodeterminati, liberi nelle proprie scelte e artefici delle proprie azioni – la scienza politica, l’economia, l’etica e la storia.

“Agisci esternamente in modo che il libero uso del tuo arbitrio possa accordarsi con la libertà di ogni altro secondo una legge universale”, afferma Immanuel Kant.

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