C’è un dato estremamente preoccupante sulla salute della nostra democrazia. Secondo sondaggi riportati dal Corriere della Sera, la fiducia dei cittadini nell’insieme dei Partiti non supera il 2%. Purtroppo, questo  dato non stupisce, con gli  scandali che si susseguono e la lunga serie di promesse non mantenute e di speranze, o illusioni,  tradite. Ma è davvero terrificante, posto che, in una democrazia, i Partiti sono strumento indispensabile e insostituibile di organizzazione delle idee e del consenso. Ogni altra alternativa, come hanno mostrato i regimi plebiscitari o del “partito unico” sono, in realtà, dittature appena mascherate. La Storia, però, ci insegna che le democrazie muoiono quando le forze politiche che ne sono protagoniste si mostrano incapaci di governare e, peggio, mostrano profonde  crepe interne e corruzione diffusa. Gli esempi, nel Secolo XX, sono tanti, dall’Italia alla Germania, dalla Spagna al Portogallo, dall’Argentina al Brasile, dal Cile all’Uruguay e nella stessa Francia la democrazia non esplose nel 1958 solo perché il Paese disponeva di un “deus ex machina”, il generale De Gaulle, che rimise ordine e, pur governando in modo sostanzialmente autoritario, seppe rinnovare e quindi perpetuare e rafforzare le istituzioni democratiche.

Da noi, la miscela di sfiducia nella politica e di crisi economica, può essere davvero esplosiva, come fu per la Francia la guerra d’Algeria? È in pericolo la nostra democrazia? Si è abituati a pensare che i regimi democratici al loro tramonto cadano vittime di colpi di stato di destra (generalmente opera di militari) o di movimenti eversivi e rivoluzionari. In tempi non lontanissimi, si attribuirono a taluni generali, o ai servizi secreti, velleità golpiste. Esse si dimostrarono in realtà abbastanza patetiche, anche se si servirono di una strategia di tensione che lasciò una terribile scia di sangue. Egualmente patetiche, anche se pure esse sanguinose, si dimostrarono le velleità della sinistra eversiva. In tutti questi casi, lo Stato e la società civile ressero all’urto, grazie anche a una classe politica di grande statura. Credo che, tra tante carenze,  l’Italia abbia la buona sorte di possedere Forze Armate e Forze dell’Ordine generalmente ligie alla democrazia e obbedienti al potere civile, ed un Partito  Democratico che rappresenta una sinistra legalitaria e riformista, non rivoluzionaria. Non è possibile dire se ciò durerà all’infinito, ma non penso vi siano, da quei lati, pericoli imminenti.

Il rischio mi sembra piuttosto una fuga dell’elettorato verso l’astensione o una pretesa (e in realtà falsa) “antipolitica”, rappresentata da  movimenti gridati e truculenti, ma del tutto irrazionali, come quello di Grillo (a cui si attribuisce un 7% di consensi, più della Lega, più di IDV e del SEL, che non sono proprio modelli di affidabilità): movimenti capaci solo di denunciare e strillare, speculando così sul disgusto della gente comune per captarne il consenso e impadronirsi di fette di potere,  ma incapaci di proporre alcuna seria soluzione ai problemi del Paese e non in grado  di governare, non dico un grande Paese moderno, ma un semplice condominio.

Temo che di questo rischio avremo una dimostrazione nelle prossime elezioni locali ed è da sperare che la deriva non travolga tutto in occasione delle politiche del 2013, da cui è vitale che esca una forza politica responsabile ed equilibrata, capace di sciogliere i nodi di cui soffre il Paese. È ancora possibile fermarla? Dipende dai tre maggiori Partiti presenti in Parlamento: se veramente comprendono il pericolo e vogliono riparare al malfatto, o al non fatto, di questi due squallidi decenni di berlusconismo, controcultura  e malaffare, hanno ancora la possibilità di farlo. Il tempo stringe, ma non è ancora scaduto. Ci sono ancora davanti a noi dieci o undici mesi utili. Non perdano il tempo! La legge sulla trasparenza dei bilanci che si annuncia non basta: viene voglia di dire “troppo poco e troppo tardi”.

Se i Partiti vogliono recuperare rispetto e consenso, la loro agenda è chiara (anche se non facile da accettare per chi è abituato a radicati privilegi) e in ripetute occasioni gli esponenti del Partito Liberale Italiano l’hanno indicata. Occorre che i Partiti si diano uno statuto giuridico chiaro, trasparente e democratico; occorre che i loro bilanci siano – effettivamente e senza trucchi – pubblici e limpidi. Presidente e Segretario del PLI hanno ragione a reclamare che i Partiti rinuncino al finanziamento pubblico nella forma attuale (lo chiede anche Di Pietro, a cui vorrei chiedere: ma IDV il contributo l’ha preso? Come lo ha utilizzato? È pronto a restituire la parte eccedente le spese elettorali effettive?); sarebbe già un buon segno se il finanziamento fosse riportato entro i limiti accettati da tutti gli altri grandi Paesi europei, ma l’ideale sarebbe ricorrere a contributi volontari trasparenti, magari nella forma di un 5 o 6 per mille indicato dai contribuenti e, se non bastassero i fondi così riuniti, facciano anche loro la cura dimagrante che Governo e Parlamento chiedono a tutti gli italiani; occorre che votino senza ritardo norme ferree contro la corruzione e le applichino al loro interno escludendo senza tentennamenti tutti i sospettati o indagati per corruzione e rinunciando a candidarli: questo non è giustizialismo, è semplice igiene morale; occorre che approvino rapidamente una legge elettorale che ridia ai cittadini un vero potere di scelta; occorre che riducano senza esitazioni i costi della politica: lo so, le resistenze corporative sono forti e tutti i politici tengono alla loro poltrona, ma è imperativo ridurre a limiti “europei” il personale politico che tra centro, regioni, province e comuni conta decine di migliaia di addetti e tagliarne le retribuzioni; in margine allo scandalo della Lega è divenuto di pubblico dominio che un consigliere regionale lombardo, calabrese, campano, etc. guadagna quasi 13.000 euro al mese e matura il diritto a pensioni corpose e ad altri pingui benefici. Non parliamo degli stipendi e altri benefit dei  manager pubblichi (compresa, mi spiace dirlo, la Banca d’Italia). Le province, lo si ripete da ogni parte, costano miliardi inutili. Ora che la Lega che vi si opponeva non governa più, che aspettiamo a sopprimerle, lasciando loro solo le funzioni amministrative indispensabili (Prefetti, Questori e altro)? Più in generale, cosa si aspetta a mettere riparo al diffuso e gigantesco assalto ai soldi pubblici?

In tutto questo, il Capo dello Stato può e deve continuare ad essere di autorevole stimolo; se necessario, frusti i Partiti, li esponga, li forzi ad agire: col prestigio che ha, e la sua non candidatura alla rielezione, che ha da perdere? Il Paese gliene sarà sempre riconoscente. Naturalmente, anche il Governo può e deve fare la sua parte: ma il suo compito, doppio e interconnesso, è ora  quello di ridurre la spesa pubblica, sveltire l’amministrazione, rilanciare l’economia e l’impiego con i mezzi (pochi) di cui dispone; ma non sottovalutiamo il ruolo che può svolgere, per esempio nell’agilizzare i grandi lavori pubblici, usare al meglio i fondi europei e proiettare le nostre imprese verso i grandi mercati esteri: che aspettano Monti, Passera, Terzi a riformare l’ICE perché sia davvero uno strumento di sostegno e di espansione?

E tuttavia, autoriformarsi e portare avanti le riforme che il Paese reclama, spetta al Parlamento e ai Partiti. Il Governo, ripeto,  può contribuivi, ma non sostituirvisi, e per questo le critiche e le impazienze nei confronti del Governo Monti mi appaiono ingiuste. Parafrasando Churchill, mai tanti si aspettano tanto da tanti pochi. Oggi, l’avvenire della nostra democrazia e quindi del Paese e di noi tutti, è nelle mani di un ridotto numero di persone: Alfano, Casini, Bersani, Fini e dietro le quinte ancora Berlusconi. Speriamo che trovino l’intelligenza e il coraggio di andare avanti nel solo interesse del Paese, non delle fazioni o delle cosche o delle proprie, anche legittime, ambizioni di carriera. Altrimenti, una qualche onda referendaria li spazzerà via. Certo, anche verso di loro personalmente la fiducia non abbonda. Ma, come si dice “spes ultima dea”.

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