A sette mesi dall’election day che decreterà il vincitore della contesa presidenziale negli Stati Uniti, ha fatto il suo trionfale ingresso nell’agenda politica elettorale, un tema pressoché trascurato in precedenza dai candidati: le relazioni con la Russia. A innescare il dibattito, che coinvolge anche la politica del reset di democratica genitura, è stato il repubblicano Mitt Romney. L’ex governatore del Massachusetts in un contributo per la rivista Foreign Policy ha definito la Russia il principale nemico geopolitico degli Stati Uniti.
Posizione espressa anche in una intervista concessa alla CNN sull’incontro fra il presidente americano e il suo omologo russo a Seoul. In tale occasione, il politico ha inoltre affermato che la Russia sembra voler sposare la causa dei peggiori attori sulla scena internazionale e che l’assicurazione data da Obama a Medvedev sulla propria maggiore “flessibilità” in caso di rielezione sulla spinosa questione dello schieramento dei missili ABM in Europa, è di grave portata. A suo dire, il termine impiegato non si adatta a una potenza malvagia quale è la Federazione.
Sull’altro versante della rinata cortina, Medvedev ha definito in una pronta replica le esternazioni di Romney “hollywoodiane”, precisando ironicamente che il mondo è cambiato e non si è fermato a metà anni ’70.
Sulla stessa linea di Medvedev due ‘pezzi da novanta’ della squadra presidenziale: il vicepresidente Joe Biden e la segretario di Stato Hillary Clinton, che hanno rimproverato a Romney una certa mentalità da Guerra Fredda nonché scarsa dimestichezza con l’agire politico del 21esimo secolo. In un intervento alla CBS, Biden ha affermato che Romney agisce come se ritenesse che la Guerra Fredda fosse ancora in atto e la Russia fosse il maggior pericolo per gli USA.
Allargando l’orizzonte dell’analisi, rileva osservare come nelle campagne elettorali statunitensi la politica interna possa generalmente godere di un consolidato predominio rispetto alla politica estera. È sul modo in cui sono affrontate tematiche quali lavoro, sanità, tasse che si coagula il consenso dell’elettorato su questo o quel candidato. L’irruzione della politica estera nell’agone elettorale – e per giunta con un tema spinoso quale quello del reset nelle relazioni con la Russia – è probabilmente dovuto ad altri ordini di fattori.
I fondamentali dell’economia statunitense sono recentemente apparsi in miglioramento, specie se raffrontati all’anemica situazione in Europa. Gli indici borsistici sono in aumento, mentre la fiducia dei consumatori – misurata dal Bloomberg Comfort che tiene conto di diverse variabili – ha quasi raggiunto il picco positivo degli ultimi quattro anni.
Questi dati hanno ovviamente spuntato le lance agli sfidanti repubblicani alla presidenza, che avevano impostato – a partire dalle Primarie dell’Iowa – una campagna per la nomination, basata su una critica senza quartiere alle scelte di politica economica di Obama, tra le quali spicca la riforma sanitaria che va sotto il nome di Patient Protection and Affordable Care Act (Obamacare), ritenuta dai repubblicani “socialista” e dannosa per gli interessi nazionali. Su queste tematiche era stato proprio Romney, con un curriculum assai ‘finanziarizzato’ (consulente per la Boston Consulting e poi nel private equity) a sferrare gli attacchi più virulenti alle decisioni del presidente.
Ora che l’economia americana non sembra più agonizzante, lo sfidante alla presidenza ha dovuto operare un rapido riallineamento delle proprie istanze politiche. Per questo le tematiche concernenti sicurezza nazionale, pericolosità della Russia e flex-senza-security di Obama, sono assurte agli onori della cronaca elettorale. Non a caso, le ultime uscite di Romney sul tema Russia-USA sono state corroborate da una lettera pubblica di quarantatré senatori americani indirizzata a Obama e al presidente della Camera John Boehner. Segno evidente del fatto che lo stesso Partito Repubblicano, di cui Romney è ormai il candidato presidenziale ufficiale, ha dovuto modificare la propria scala di priorità da spendere innanzi al potenziale elettorato.
Quindi, la particolare asprezza degli attacchi repubblicani alla Russia, lungi dal rappresentare un ritorno alla Guerra Fredda, andrebbero ricondotti alla loro naturale dimensione: messaggi pubblicitari in una campagna elettorale che sta entrando nel vivo.
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