Nell’estate del 1358 veniva soffocata nel sangue dalla nobiltà d’oltralpe la rivolta dei contadini francesi, successivamente nota con il nome di jacquerie, causata dall’insofferenza della popolazione rurale nei confronti di un ceto nobiliare che, incapace di far fronte alla crisi politica ed economica generata dalla “guerra dei cent’anni”, vessava i contadini con imposizioni pecuniarie e corvées  alle quali non corrispondevano adeguate garanzie di stabilità e ripresa da parte della classe dirigente di allora. In maniera non dissimile la rivoluzione francese del 1789 poneva le sue basi sulla profonda sfiducia che il terzo Stato, ovvero il ceto produttivo del Paese, nutriva sulla capacità della monarchia assoluta, della nobiltà e del clero di gestire in maniera oculata una macchina pubblica gravata sia dai privilegi di una casta improduttiva lontana dal Paese reale che dagli enormi sprechi che la corte di Francia perpetrava ai danni di una massa contribuente la quale, conscia della sua ormai preponderante forza economica, stava da tempo insistentemente chiedendo di avere piena voce in capitolo all’interno della sfera politica nazionale.

Oggi giorno in Italia lo spirito delle principali pulsioni politiche espresse in seno all’opinione pubblica non appare troppo distante – per quanto il contesto storico sia certamente differente sotto molti aspetti – da quello contenuto all’interno dei  cahiers de doléances della Francia rivoluzionaria nel senso che la crisi economica che grava da alcuni anni sul nostro Paese ha messo in evidenza la totale inadeguatezza della nostra classe dirigente a far fronte allo tsunami finanziario che sta devastando l’economia reale con conseguenze drammatiche i cui effetti economici e sociali, nel lungo periodo, non sono ancora del tutto prevedibili. In tal senso è evidente che l’incapacità dimostrata dal ceto politico a fornire risposte alle gravi incertezze del momento unita agli scandali di carattere penale  che spesso vedono protagonisti uomini pubblici sta generando presso l’elettorato una sfiducia totale sia nei confronti delle istituzioni che nella classe politica rappresentata dai partiti.

Tuttavia occorre manifestare l’onestà intellettuale necessaria per evidenziare che se in tempo di vacche grasse l’opinione pubblica italiana ha sempre chiuso un occhio sul malcostume e lo scarso spessore programmatico ed intellettuale dell’attuale ceto politico, in tempo di crisi, di ristrettezze economiche e di progressivo aumento dell’imposizione fiscale, la classe dirigente improvvisamente rivelatasi incapace ed inetta è stata subito additata a vista da gruppi di improvvisati giustizieri e considerata non più degna di godere di certi privilegi sui quali nessuno, a parte qualche rara eccezione, aveva sentito l’esigenza in passato di rilevarne l’illegittimità.

E’ pertanto evidente che la grave crisi politica che stiamo vivendo oggi è una crisi di autorevolezza che le istituzioni pubbliche, i partiti e i loro rappresentanti stanno vivendo a causa di una tempesta economica che ha messo in luce la loro inconsistenza culturale e programmatica.

Si accompagna a quanto sopraddetto un evidente elemento di irrazionalità e di ipocrisia nel clima di “anti-politica” esistente in Italia oggi, il quale scatta ad orologeria quando non c’è più latte da mungere da uno Stato che ha sofferto e continua a soffrire di una abnorme evasione fiscale contestuale ad una corruzione assolutamente insostenibile nel lungo periodo e di cui oggi tutti paghiamo le conseguenze sotto forma di un enorme debito pubblico.

Il clima è diventato pertanto adatto ad ospitare fenomeni politici intrisi di populismo e di demagogia ed in tale contesto il comico genovese Beppe Grillo, epurato dai politici della prima repubblica e alla ricerca di un riscatto personale contro i suoi “aguzzini”, ha saputo cavalcare l’onda del mugugno pubblico promuovendo una sorta di nuova jacquerie (composta da moderni sans-culottes spesso privi di cultura politica) pilotata attraverso un movimento costruito attorno alla sua immagine ed organizzato in modo da canalizzare al suo interno la rabbia popolare. Grillo, coadiuvato sapientemente da esperti della rete internet e di marketing, ha saputo abilmente individuare ciò che un certo elettorato, soprattutto collocato a sinistra e stanco dei vecchi contenitori della politica svuotati dalle ideologie, voleva sentirsi dire e con molta efficacia ha saputo toccare, grazie alla sua abilità di uomo di spettacolo, le corde più tese del sentire popolare. Ciò di cui ancora i sostenitori di Beppe Grillo non sembrano essersi accorti è che il Movimento Cinque Stelle in realtà non propone soluzioni rispetto alle grandi tematiche socio-economiche dell’attualità ma semplicemente da un lato sventola agli spettatori seduti sui gradini dell’arena l’obiettivo dichiarato di demolire l’attuale sistema dei partiti e di giustiziarne a sua discrezione i resti nella pubblica piazza, dall’altro il Movimento si pone l’obiettivo minimo, più realistico, di farsi largo sullo scenario politico attuale per conquistare un posto al sole all’interno delle amministrazioni locali con il fine di “perorare la causa” della green economy alla quale lo stesso Grillo deve una parte delle sue attuali fortune pubbliche… e private.     

Ci accorgiamo pertanto che di fronte al tumultuoso “nuovo che avanza” dalla steppa dell’anti-politica, la crisi dei partiti e delle istituzioni democratiche produce notevoli vuoti che possono essere occupati da formazioni fortemente verticistiche e dogmatiche che, per quanto esse stesse affermino a parole l’esatto contrario, sono tutto fuorché democratiche ma piuttosto portatrici di idee  addirittura contrarie alla cosiddetta “società aperta” di cui il filosofo Popper si è fatto magistralmente interprete. Ci possiamo domandare in tal senso con quale autorità lo stesso Grillo possa affermare di voler scardinare l’attuale sistema democratico, per quanto malandato, sorto dopo libere elezioni e con quale mandato gli esponenti del Movimento Cinque Stelle, scavalcando del tutto la Magistratura ed il diritto positivo, possano decidere chi debba fare politica o chi debba essere punito per essersi comportato come un vero “malandrino”. In un tale contesto sembra quasi che Grillo intenda perorare la causa del Partito Unico che rinchiude nei gulag i dissidenti ovvero coloro che non hanno voluto accettare l’unica verità possibile: quella del Capo e del Partito.

A conclusione di questa riflessione credo che possiamo affermare che l’Italia ha assoluta necessità di un radicale rinnovamento politico che parta innanzitutto dalla gente ma che rimanga ben ancorato sui principi della liberal-democrazia e che non debba lasciare spazio a chi, sfruttando l’esasperazione popolare, si pone l’obiettivo di spazzare via un sistema di potere, comunque democratico, cavalcando solamente odi e rancori di classe e perseguendo finalità assai discutibili se non addirittura inquietanti. Da questo punto di vista la politica, come quella liberale, deve saper far fronte al populismo dilagante, fenomeno che ha già anticipato in passato derive autoritarie, offrendo risposte concrete ai cittadini e presentando agli elettori personalità di reale spessore politico in grado di far fronte all’emergenza e di proporre un progetto di crescita e di sviluppo per questo Paese che proietti l’Italia verso un rinnovamento politico, culturale, sociale ed economico che ogni giorno che passa risulta sempre più indispensabile ed improrogabile.

© Rivoluzione Liberale

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