A leggere le dichiarazioni di certi uomini politici che hanno avuto, e in parte hanno ancora, un peso nelle nostre vicende, vengono davvero i brividi.
Leggendo le cose dette da Berlusconi all’uscita dal processo Ruby a Milano, confesso di aver pensato in un primo momento che si trattasse di una raffinata e maligna parodia, inventata da qualcuno che voleva mettere in ridicolo l’ex-Presidente del Consiglio. Ma ho dovuto presto ricredermi: non c’era dubbio, quelle cose le ha dette proprio lui.
In quel fiume di parole, ci sono perle da antologia del grottesco. Vediamole un po’ insieme: l’ineffabile personaggio ha voluto smentire qualsiasi aspetto criminale, o anche soltanto immorale e peccaminoso, delle famose serate di Arcore. Serate eleganti, ha detto con supremo sprezzo del ridicolo, dedicate ad un’arte nobile e raffinata, quella del “burlesque”. Confesso di aver, a questo punto, alzato un sopracciglio: alle sue origini, vittoriane, “burlesque” era infatti sinonimo di teatro inteso a creare effetti comici con imitazioni e travestimenti, ma da più di cento anni significa spettacolo apertamente, sfacciatamente, erotico, come sa bene chiunque abbia vissuto negli Stati Uniti, a Londra o a Parigi: spettacolo basato su ammiccamenti più o meno espliciti, ma sempre di una profonda, direi genetica, volgarità. Lasciamo stare se le serate di Arcore fossero solo questo o andassero oltre il voyeurismo e i toccheggiamenti di cui hanno parlato molte protagoniste; francamente non lo so e non mi interessa (è difficile orientarsi tra le miserevoli conversazioni intercettate, o dichiarazioni alla stampa, delle allegre ragazzotte reclutate per quelle serate).
Diamo anche per buone al Cavalier Berlusconi le sue asserzioni di “assoluta correttezza”. Ma il solo fatto che un uomo, tra l’altro più che settantenne – arrivato a ricoprire la maggiore responsabilità di governo, in uno dei grandi Paesi dell’Occidente, per di più in un periodo di profonda crisi economica, politica e sociale – dedicasse le sue serate a questo genere di svaghi è di uno squallore che fa tremare. E che il suddetto personaggio ammetta, anzi si vanti delle cospicue donazioni in denaro a quelle compiacenti ragazzotte “per evitare che esercitassero la prostituzione” (ma scusi, Cavaliere, e a casa sua che altro facevano?) è sinceramente triste. Certo, Berlusconi come persona è libero di fare coi suoi soldi quello che gli pare, e se gli piace può mantenere anche un intero harem; ma Berlusconi Capo del Governo di un Paese in cui c’è una buona parte della popolazione che non arriva a guadagnare in un anno quello che lui regalava alla settimana alle suddette ragazzotte, dimostra una mancanza di senso morale, e anche di senso comune, che fa spavento e contribuisce a illustrare e spiegare la diffusa decadenza etica del nostro Paese in questo ventennio berlusconiano. Che insegnamento, che conclusioni di vita, devono trarne migliaia e migliaia di nostre giovani donne, di fronte a un esempio così sfacciato, e così altolocato, di facile scorciatoia al benessere, al successo, alla fama? E’ questa la decadenza etica e del buon gusto, che il nostro Paese ha conosciuto nell’epoca berlusconiana .
E che per di più il personaggio insista con la favola della Ruby “nipote di Mubarak”, rivendicando così il suo diritto-dovere di intervenire, da Presidente del Consiglio, per salvarla da misure di polizia per evitare una crisi diplomatica (da cui conseguirebbe la competenza a giudicarlo del Tribunale dei Ministri e non del giudice ordinario), e questo mentre dalle intercettazioni della “nipote di Mubarak” si evince che lo stesso le prometteva di coprirla d’oro pur che non parlasse, e di fatto risulta che ha dato e continua a dare decine, centinaia di migliaia di euro alle potenziali testimoni del suo processo: ma non siamo, a vario titolo, ai limiti del Codice Penale, se non addirittura dentro? E che neppure oggi, con tutto quello che gli è caduto e gli sta cadendo adesso, non solo l’ex Premier non mostri il minimo pentimento o rammarico, né si sogni di chiedere scusa agli italiani per la figuraccia che ci ha fatto fare in tutto il mondo, ma dichiari che, pur avendo sospeso per ora le famose serate, non vede perché non debbano riprendere in futuro: ci obbliga a chiedersi, con retrospettivo sconcerto, in che mani siamo stati in questi anni?
In questo campionario davvero burlesco, il Cavaliere, purtroppo, non è del tutto solo. Mi spiace dover parlare di Formigoni, perché lo conosco da un quarto di secolo, da quando,cioè, era un giovane deputato europeo ed io ero il responsabile del Segretariato di Politica Estera della Comunità Europea: allora era zelante, entusiaste e solo un po’ sprovveduto. Ricordo che, in piena occupazione del Kuwait da parte dell’Irak, quando tutto il mondo isolava il dittatore iracheno, venne a dirmi che si proponeva, assieme ad alcuni colleghi “pacifisti” di andare in missione a Bagdad; ed io dovetti fargli presente che questa missione, non solo non sarebbe servita a nulla, ma avrebbe peggiorato le cose contribuendo ad alimentare in Saddam Hussein la pericolosa illusione che il mondo occidentale – e l’Europa in particolare – fossero divisi al loro interno sul modo di reagire alla brutale invasione di un Paese sovrano. Ma tant’è: si trattava di ingenuità un po’ goliardica e certo benintenzionata.
Sulla correttezza personale del governatore lombardo, però, non avevo dubbi, per una ragione: Roberto Formigoni mi pareva uno di quei tipi da sagrestia di cui la DC era ricca a quei tempi (Emilio Colombo ne era l’archetipo), persone impegnate politicamente ma in genere superiori alla vile moneta e abbastanza lontani dai sani godimenti della carne, una specie di terziario francescano o di seminarista mai veramente cresciuto. Ed ora si è dovuto apprendere che faceva allegre vacanze a spese di amici non proprio limpidi. E, per colmo, pur essendosi “scusato” (e lo credo!) con Comunione e Liberazione, di cui era il figlio prediletto e il prodotto più tipico, ha fatto sapere chiaramente che non ha la minima intenzione di dimettersi. E si è difeso dicendo che “l’amicizia non è un crimine”. Eh no, Presidente Formigoni: un privato cittadino può essere amico di chi vuole, ma chi ricopre cariche pubbliche, maneggia ingenti quantità di denaro, può concedere e negare favori milionari, ha il dovere di selezionare le sue amicizie e anche le sue semplici frequentazioni. E se risulta amico e sodale di conosciuti affaristi e procacciatori d’affari, mi dispiace, deve renderne conto a chi lo ha eletto e all’insieme della popolazione su cui, nel bene e nel male, governa da un decennio, e avere il buon gusto di farsi da parte.
Andiamo avanti, stavolta con Umberto Bossi (ma se la smettesse, certa stampa facilona e banale, di chiamarlo “il senatúr”). Lo so, lo so, non è pietoso sparare su un caduto, ma come si fa a non indignarsi quando si legge che, in una pubblica occasione, ha dichiarato che le male azioni di Belsito, i furti di denaro dei contribuenti, il dossieraggio di Maroni, sono l’opera di un “complotto romano”. E ad uno che la sballa così grossa (va bene, forse ha l’attenuante dell’età, della malattia e della delusione subìta) lo abbiano preso sul serio, rispettato, temuto, fatto Ministro, e c’è stato persino chi ha definito il suo partito “una costola della sinistra”!
Da ultimo, l’ineffabile Calderoli che basta guardarlo per capire, senza scomodare Lombroso – come ha scritto con giustizia l’on. De Luca – che tipo è. Non bastava il regalo che ha fatto agli italiani con la sua legge elettorale, ora si scopre che abitava un appartamento in un quartiere elegante e caro di Roma, a spese della Lega. E si è difeso dicendo che quelli erano “soldi di famiglia”. E un simpatico presentatore di un talk-show televisivo, di solito serio ed equilibrato, si è chiesto che cosa ci fosse di male se un Partito paga l’affitto a un suo esponente costretto a trasferirsi nella Capitale. Ora, la Lega può fare ciò che vuole con i soldi propri, ma non quando questi soldi provengano dal finanziamento pubblico a fine di rimborso elettorale, e cioè sono soldi dei contribuenti assegnati per uno scopo preciso e limitato. E quindi tutti i cittadini hanno diritto di sapere e sindacare come sono spesi. Tanto più se il beneficiario di queste larghezze di partito è un signore (si fa per dire) che nella Capitale ci stava come deputato e, per molti anni, come Ministro, e cioè con stipendi che gli permettevano di pagarsi di tasca propria un alloggio più che decente nella tanto deprecata “Roma ladrona” (ma così dolce e così bella, vista dalle finestre di una casa sul Gianicolo).
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