Liberalismo e democrazia sono (o dovrebbero essere) due facce della stessa medaglia, dello stesso Stato. Come sottolinea Benedetto Croce, “non bisogna dimenticare che il liberalismo disgiunto dalla democrazia inclina sensibilmente verso il conservatorismo, e che la democrazia, smarrendo la severità dell’idea liberale, trapassa nella demagogia e, di là, nella dittatura”.
Il liberalismo classico è essenzialmente una dottrina dei limiti del potere politico e, nel contempo, mira a difendere la libertà e i diritti inalienabili dell’individuo. Il problema di chi debba avere il potere nelle proprie mani è, invece, l’oggetto della riflessione democratica: lo spirito della democrazia è la sovranità popolare di tipo rappresentativo, ma esso non si preoccupa di evitare alcuna concentrazione del potere né di tutelare, in maniera specifica, le minoranze. Il fulcro della democrazia è la maggioranza che, nei casi estremi, diventa la “tirannìa della maggioranza”, tanto temuta da Alexis de Tocqueville e John Stuart Mill, ma non solo.
In tempi più recenti – agli albori del Novecento, quando la democrazia fatica ad affermarsi e gli ideali di libertà sono ancora soffocati da forme di governo oligarchiche impregnate di potere e lontane dalle reali necessità del singolo, a tutti i livelli – in ambito letterario, Pirandello in una delle sue opere più note – Il fu Mattia Pascal (1904) – individua con chiarezza le debolezze della democrazia, affermando: “Ma la causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia cioè il governo della maggioranza. Perché quando il potere è in mano d’uno solo, quest’uno sa d’essere uno e di dover contentare molti; ma quando i molti governano, pensano soltanto a contentare se stessi, e si ha allora la tirannìa più balorda e più odiosa: la tirannìa mascherata da libertà”.
Uno dei problemi più spinosi delle moderne democrazie è, in effetti, coniugare il principio della sovranità popolare con la tutela dei diritti inalienabili dell’individuo, oltre che con la divisione dei poteri prefigurata da Montesquieu, uno dei padri della dottrina liberale, e con la limitazione dell’intervento statale. Gli Stati più evoluti combattono costantemente per mantenere l’equilibrio tra i princìpi liberali e i princìpi democratici, sopperendo alle mancanze di entrambi. Occorre però sottolineare che laddove la democrazia difende le ragioni della maggioranza, la dottrina liberale – che corrisponde a una scienza umana prima ancora che politica ed economica – mira a valorizzare l’individuo e la sua libertà, a tutti i livelli, per creare una società fondata sull’uomo e non su una mera percentuale dei più.
In definitiva il modello più funzionale corrisponderebbe a una liberal-democrazia che accolga in sé i pregi dell’uno e dell’altro sistema di governo. Non si può comunque dimenticare che l’affermarsi della democrazia nel corso degli ultimi trecento anni, a partire dagli ideali di uguaglianza, libertà e fratellanza del 1789 – la Rivoluzione francese è, di certo, un momento storico fondamentale in cui la lotta per la libertà si è trasformata in una concreta e reale discesa in campo di molti individui, tra loro diversi – ha condotto alla formazione dello Stato moderno in cui il singolo, anche quando è difeso dal potere della maggioranza, rappresenta il fulcro sia della democrazia sia della libertà.
Esponente del neoliberalismo novecentesco, Dahrendorf (1929- 2009) critica l’esasperato individualismo del liberalismo classico che ignora alcuni problemi di equità sociale, i quali vanno comunque impostati senza limitare l’iniziativa economica del singolo che rappresenta la molla del progresso sociale. Per Dahrendorf la società deve offrire a tutti pari opportunità, in modo che gli uomini possano diventare diversi per loro scelta e in forza del diritto, e non a spese di altri: lo scopo dell’uguaglianza dovrebbe quindi essere una diseguaglianza consapevole. Dahrendorf attribuisce inoltre all’istruzione un ruolo fondamentale, sottolineando l’importanza dell’accesso ad essa da parte di tutti: “Ogni uomo e ogni donna deve aver la chance, l’opportunità, di sviluppare i propri talenti, interessi e desideri, nelle scuole e nelle università […] l’istruzione è un diritto civile. L’istruzione ha naturalmente anche una funzione nella formazione di uno spazio pubblico democratico: ha naturalmente una funzione allorché si tratta di porre gli uomini in condizioni di far uso dei propri diritti civili. […] L’istruzione è un presupposto primario della vita umana, di organizzazione delle capacità e opportunità di cui abbiamo bisogno nella vita”.
Dahrendorf sottolinea infine il carattere concreto dell’educazione politica che non si nasconde chissà dove ma rappresenta il tessuto connettivo della società, la linfa della quotidianità degli individui i quali, se istruiti ed informati, possono trasformarsi in cittadini attivi, consapevoli e responsabili del proprio destino. In quest’ottica, Dahrerdorf ritiene che l’educazione politica rispecchi “la capacità di fondo di ogni singolo uomo di formulare giudizi su questioni politiche importanti. Ma in un mondo complicato, questa capacità esige, ad esempio, che si sia in grado di leggere un giornale, e che lo si legga realmente; esige che si sia in grado di ascoltare e comprendere i notiziari, e qui è ancora una volta necessario un certo grado di preparazione, di istruzione”. Dahrendorf deduce, quindi, che “l’istruzione è un presupposto primario nel concetto di diritti civili, nei concetti di organizzazione della vita umana, di organizzazione delle capacità e opportunità di cui abbiamo bisogno nella vita”.
Già nella prima metà dell’Ottocento, Alexis de Tocqueville (1805-1859), il profeta della società di massa, colui che rappresenta l’ala più conservatrice del liberalismo europeo, si rende conto che il suo tempo corre verso la democrazia e dedica molti anni di studio alla democrazia di una società nuova, proiettata verso il futuro, come quella americana. Egli vede negli Stati Uniti “l’immagine della democrazia stessa” e si chiede, però, se e in quale modo, la libertà del singolo possa sopravvivere in un regime democratico. Secondo il liberale francese i maggiori rischi legati alla democrazia, come forma di governo che prospetta una partecipazione di tutti alla vita pubblica, sono l’eccessivo potere riservato alla maggioranza e il conseguente livellamento attuato dall’ideale egualitario, il quale può sfociare nel dispotismo: entrambe le situazioni rappresentano, concretamente, un pericolo per la libertà dell’individuo. Il principio di maggioranza si basa sulla forza del numero più che su quella del singolo, con la convinzione che vi sia più saggezza nel numero che nella qualità dei legislatori. L’onnipotenza della maggioranza ha per effetto, inoltre, l’instabilità del potere legislativo, le decisioni spesso arbitrarie dei funzionari, il conformismo delle opinioni e l’assenza di uomini ragguardevoli sulla scena politica. Per il liberale Tocqueville il potere è sempre negativo e il problema principale non riguarda l’identità di chi detiene il suddetto potere, quanto le modalità attraverso le quali controllarlo e limitarlo. Il buon governo non è la risultante del numero delle persone che lo possiedono ma del numero delle cose che è loro lecito fare.
Tocqueville vive l’affermarsi della democrazia ma anche il suo avvicinarsi al dispotismo attraverso forme di governo accentrate e onnipresenti, che predominano nella Francia rivoluzionaria e cerca di proporre dei rimedi classici della dottrina liberale: la difesa di alcune libertà individuali fondamentali; il rispetto dell’uguaglianza di fronte al diritto; il decentramento; la sovranità dell’individuo posto, molto spesso, in secondo piano in nome degli interessi della maggioranza.
In particolare per Tocqueville libertà e uguaglianza sono princìpi intrinsecamente correlati: “Gli uomini saranno perfettamente liberi, perché saranno interamente uguali; e saranno tutti perfettamente eguali, perché saranno interamente liberi. Verso questo ideale tendono i popoli democratici […] Presso la maggior parte delle nazioni moderne e, in particolare, presso tutti i popoli del continente europeo il gusto e l’idea della libertà hanno cominciato a nascere e a svilupparsi solo nel momento in cui le condizioni cominciavano ad eguagliarsi, come una conseguenza dell’uguaglianza stessa”.
In pratica la democrazia mira (o dovrebbe mirare) a realizzare l’ideale dell’uguaglianza nella libertà “senza rivoluzione e senza spargimento di sangue”, come sottolinea Dahrerdorf, per cui si tratta di un sistema costituzionale all’interno del quale è possibile tener conto dei vari interessi e delle diverse opinioni degli uomini, nonché di quelli che intervengono nella comunità a partire da influssi esterni, senza per questo giungere a sconvolgimenti tempestosi e violenti. La democrazia si rivela dunque una componente essenziale della tradizione liberale.
Liberalismo significa sovranità dell’individuo, Stato di diritto, difesa dei diritti umani e sociali fondamentali, elementi pratici e di contenuto, e nel contempo princìpi liberali, il cui naturale sviluppo – come sostiene John Stuart Mill (1806-1873), un esponente dell’ala del liberalismo più vicina al pensiero democratico – è la democrazia. Ponendosi il problema della miglior forma di governo, Mill la identifica nella ‘democrazia rappresentativa’, ossia la naturale prosecuzione di uno Stato che voglia garantire ai propri cittadini il massimo della libertà di scelta. La visione di Mill chiarisce il nesso indissolubile tra democrazia e liberalismo e l’affermazione secondo cui un buon libero governo è quello all’interno del quale tutti partecipano al beneficio della libertà, conduce Mill a divenire promotore dell’estensione del suffragio (anche alle donne), sulla scia del radicalismo ‘benthamiano’ da cui era nata la riforma elettorale inglese del 1832.
Un altro rimedio alla tirannìa della maggioranza consiste per Mill nel passaggio da un sistema maggioritario a uno proporzionale in grado di assicurare un’adeguata rappresentanza anche alle minoranze: le minoranze motivate possono porre un efficace freno all’abuso di potere da parte della maggioranza. Con questa affermazione Mill mette in evidenza la produttività dell’antagonismo, elemento cardine della tradizione liberale, sostenendo che laddove il conflitto viene soffocato non c’è progresso, ma stagnazione e decadenza.
I cittadini chiamati a eleggere i propri rappresentanti devono, inoltre, essere posti davanti ad alternative reali ed essere messi in condizione di poter scegliere. Affinché ciò avvenga, occorre, però, che i cittadini godano dei diritti di libertà sui quali si fonda lo Stato liberale. Per di più, le norme costituzionali che attribuiscono questi diritti non sono mere regole del gioco ma regole preliminari che ne permettono lo svolgimento. Lo Stato liberale, quindi, è il presupposto storico, ma soprattutto giuridico, di quello democratico.
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Eccellente, questo spaccato del liberalismo europeo ed internazionale; complimenti!
Mi piace in particolare il cenno fatto al liberalismo come dottrina della “limitazione del potere”, piuttosto che come dottrina dell'”esercizio del potere”, quest’ultima essendo la vulgata diffusa nell’ultimo ventennio ad opera della destra italiana, che, proprio per questo, è tutto fuorché liberale.
La combinazione, di volta in volta più o meno virtuosa, tra democrazia e liberalismo è ciò che siamo soliti definire “democrazia Liberale”.
E non è un caso che questo fosse il nome che si era data la corrente di opinione interna che ha guidato il PLI dall’inizio degli anni ottanta e sino allo scioglimento del 1994.
E, ancora non per caso, che questo sia il nome che è stato dato dai presentatori (tutti di scuola crociana) alla mozione politica approvata dal Congresso Nazionale del PLI del 2009, la cui ispirazione di fondo è stata esplicitamente richiamata e confermata dalla mozione “Liberali per l’Italia del Futuro” approvata dal Congresso Nazionale dello scorso marzo.
Mi piace molto questo articolo di Barbara Speca perché, tra l’altro, mette in luce il profilo storico e politico del pensiero liberale nel contesto della necessità di porre “rimedio alla tirannìa della maggioranza”. Una tirannia che ha caratterizzato l’ultimo ventennio del così detto bipolarismo all’italiana.