E se vi avessero detto che, tra Federico Fellini e nientepopodimeno che l’oggi senatore a vita Giulio Andreotti, c’è stata un’amicizia che varcava di gran lunga il rispetto e la cordialità istituzionale, ci avreste creduto seriamente? A quanto pare anche i più diffidenti dovranno farsene una ragione, sbirciando tra le righe della nuova pubblicazione di Andrea Minuz, Viaggio al termine dell’Italia. Fellini politico. Che pone sotto una luce insolita il cineasta nato a Rimini – ma accolto presto da ‘Mamma Roma’ – e testimonia il suo vivace e intenso carteggio con l’anima imperitura della Democrazia Cristiana, durato dal 1974 al 1993.
Erano stati, nel 1983, clienti-protagonisti del taxi guidato da Alberto Sordi nel suo Il tassinaro, ma si conoscevano formalmente fin dagli anni di Via Veneto e de La Dolce Vita, quando Fellini subiva attacchi dalla critica benpensante e Andreotti, inaspettatamente e – a detta del maestro riminese – lucidamente analizzava la sua opera. Lui, che dal ’48 al ’53, negli anni di De Gasperi, era stato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo, che attaccava duramente l'”eccessivo realismo” di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini e che in maniera più o meno indiretta aveva dato una svolta ‘rosa’ al Neorealismo italiano.
Fellini non s’interessò mai in prima persona alla politica, ma molti dei suoi film innescarono una serie di feroci e controverse reazioni che proprio da quel mondo provenivano. Con Andreotti però, seguendo il filo rosso di quest’inedita corrispondenza epistolare, esisteva un rapporto particolare che, anno dopo anno, passò dal reciproco rispetto alla quasi-cortigianeria, al punto che una delle frasi carpite recita amichevolmente: «Caro Giulio, la tua premurosa telefonatina di ieri sera mi ha sorpreso e toccato. Sei proprio molto simpatico! Ammiro e invidio la tua generosa disponibilità verso gli amici».
Chi se lo sarebbe mai aspettato? Specialmente da colui che proprio di politica diceva di non capirne molto, etichettandola come “cosa da adulti”. L’eterno infante – e il suo sguardo innocente – nel suo procedere per apparizioni fantastiche, epifanie fantasmagoriche, come non lo avevamo mai conosciuto, in questo libro, inedito e da non perdere per coloro che lo hanno tanto amato e che lo ameranno per sempre.
© Rivoluzione Liberale

Questa amicizia non mi stupisce affatto. Fellini era, se non per tessera, per animo, profondamente “democristiano” per quel tanto di blando, di accomodante che c’era in lui e nei democristiani di allora (lo so bene, era il mio Partito) e Andreotti, quali che siano i suoi difetti e vizi, è uomo di straordinaria intelligenza e apertura mentale, a cui intimamente piacciono i reprobi e a cui piace patteggiare col diavolo: che quanto più reprobo e diavolo è, tanto più lo affascina (altrimenti, non sarebbe stato tanto amico di Gheddafi).