[Riceviamo e pubblichiamo questo commento del Presidente del Partito Liberale Italiano Enzo Palumbo in replica alla lettera che l’on. Pierferdinando Casini ha inviato al Direttore de Il Sole 24 Ore e pubblicata domenica scorsa. N.d.R.]

Sul Sole 24 Ore di domenica scorsa è stata pubblicata una lettera di Pierferdinando Casini (“Un futuro con tecnici e politici”) che mi è sembrata meritevole di grande attenzione e di qualche commento.

Assieme alla puntigliosa rivendicazione di avere saputo correre il rischio mortale dell’isolamento, allorché ha rifiutato di salire sul predellino del PdL, vi ho trovato molti spunti interessanti e condivisibili; in particolare: la critica ai partiti della c.d. seconda repubblica, cartelli elettorali forti (e non sempre) nelle competizioni elettorali e poi deboli ed incerti (sempre) nella pratica di governo; il rifiuto delle coalizioni preventive obbligate, che, quando poi che si sono rotte, hanno giustificato le critiche più feroci all’insegna di un orrendo italico neologismo (il”ribaltone”); il ripudio del pericoloso leaderismo dell’uomo solo al comando, contrapposto alle virtuosità del gioco di squadra; il millantato sogno di andare verso l’Europa e gli USA, e poi invece la delusione di risvegliarsi in Libano; qualche dubbio, poi, sulla possibilità di affidarsi esclusivamente al mito della c.d. società civile, prescindendo dalla politica; ed infine la necessità di partiti che abbiano la testa in Europa ed il corpo in Italia.

Su altri aspetti, mi sento di segnare qualche differenza di dettaglio.

C’è, in quella lettera, la proposta di una sorta di partnership tra tecnici e politici, nel chiaro tentativo di collegarsi all’esperienza del governo Monti (o almeno di alcuni dei suoi ministri), senza tuttavia una specifica indicazione circa la ripartizione dei rispettivi ruoli, ed in particolare senza evidenziare che deve restare alla politica, in quanto tale, la responsabilità della guida (per individuare la direzione di marcia) ed ai tecnici, in quanto tali, quella degli strumenti per migliorarne le prestazioni (per giungere alla meta presto e bene).

E c’è la disponibilità a fare da sponda a “movimenti” civili ed a “personalità” politiche, e però senza specifico riferimento a quella piccola parte della “società politica” (inevitabilmente organizzata nella “forma partito”, come recita l’art. 49 Cost.) che in questi anni ha accettato di pagare il prezzo della sua irrilevanza pur di non confondersi coi comitati di affari che si sono andati impadronendo di quasi tutti i partiti della seconda repubblica, con pratiche familistiche e clientelari, quando non criminali, persino peggiori di quelle che hanno caratterizzato le ultime fasi della prima.

Sono infatti convinto che vada raccolto l’accorato appello del Presidente Napolitano: non sono i “partiti”, in quanto tali, che meritano di essere superati, ma piuttosto “questi partiti”, quelli degli ultimi venti anni, quelli che urlano senza discutere, che al momento del voto declamano la necessità di riforme che poi trascurano, mentre si affannano ad approvare leggi a loro uso e consumo, quelli che reclutano i loro iscritti sugli elenchi telefonici, che non fanno i congressi ma le convention, che falsificano le firme per presentarsi alle elezioni, che portano in Parlamento familiari ed amanti, che si attribuiscono presunti rimborsi per spese inesistenti, che sperperano il pubblico denaro in lussi personali o di gruppo, che lucrano su ogni affare di Stato, che rubano senza ritegno, e via esemplificando.

Osservo che quelle di Casini sono le stesse valutazioni che i liberali del PLI hanno posto alla base del loro impegno politico, almeno a partire dal 2008, allorché, per merito di Stefano de Luca, hanno fatto la medesima scelta autonoma dell’UdC, senza coltivare la più piccola speranza di entrare per quella via in Parlamento e senza neppure riceverne alcun pubblico riconoscimento, e tuttavia consapevoli che quella era la strada giusta per riaffermare nella società italiana l’ostinata presenza di un soggetto politico liberale, autonomo ed autentico, che, per il solo fatto di esistere, testimoniasse pubblicamente quanto illusorie e pericolose fossero le ricette elargite a piene mani dal centrodestra (per la verità, più destra che centro) e quanto contraddittoria ed improbabile fosse la contrapposta ricetta offerta dalla presuntuosa vocazione maggioritaria del centrosinistra, la prima naufragata poi nella pratica di governo come la seconda era naufragata nelle urne.

Negli ultimi venti anni, e nella disattenzione generale che tuttora perdura a dispetto del loro ostinato impegno, i liberali hanno dovuto assistere ai maldestri tentativi che destra e sinistra hanno fatto di cavalcare qualche soluzione liberale ai problemi complessi della società italiana, ogni volta dovendo constatare che la destra italiana si dice liberale ma lo è solo sino a che le conviene, mentre la sinistra, anch’essa sedicente liberale, lo è ma solo sino a che le riesce.

Ed essendo il silenzio dei media sul PLI tanto assordante da impedire qualsiasi possibilità di ascolto, di questa solitaria testimonianza ha finito per essere al corrente soltanto chi da allora ha cominciato a seguire da vicino, prima con scetticismo e poi con interesse via via crescente, il lavoro durissimo finalizzato a rifondare una casa comune dei liberali italiani, quella che abbiamo chiamato “Costituente Liberale”, che è poi il compito assegnato al PLI dal Congresso di fine marzo.

Una casa che deve essere accogliente non solo per i liberali che, a partire dalla diaspora del 1994, sono stati precariamente ospitati in case altrui, trovandovi prima tollerante accoglienza e poi crescente ostilità, sino al punto da indurli a rifluire nelle loro private occupazioni, e ciò mentre la scena politica veniva occupata da sedicenti liberali che pontificavano all’impronta su questioni che cultura ed esperienza avrebbero suggerito di maneggiare con maggiore sapienza e prudenza

Ma soprattutto per quei tanti altri, specie tra le giovani generazioni, che oggi si affacciano alla politica e che del liberalismo avvertono il fascino, non riuscendo tuttavia ad individuare chi possa rappresentarlo in Italia, unico paese europeo ancora privo di una significativa presenza liberale.

Anche i liberali pensano, come sostiene Casini, che non ci sia tempo da perdere, e sono da sempre convinti che il Centro (se così vogliamo chiamarlo), o sarà liberaldemocratico e riformatore, nel convergente impegno di laici e cattolici, o semplicemente non ci sarà, finendo per essere gregario di una destra brutalmente mercatista o di una sinistra ostinatamente dirigista.

E quindi, se l’on. Casini ed il suo “autosciolto” partito vorranno confrontarsi, nel reciproco rispetto, anche coi liberali del PLI – che la “testa” in Europa già ce l’hanno da sempre, mentre il loro “corpo” italiano sta provando a crescere tra mille difficoltà – non mancheranno le occasioni per fare insieme, distinti ma tutt’altro che distanti, un percorso comune per riportare l’Italia tra le nazioni più avanzate dell’Occidente.

Di occasioni, intanto, ce n’è già una a portata di mano: la legge di iniziativa popolare proposta dal prof. Pellegrino Capaldo, che tende ad eliminare il finanziamento pubblico dei partiti sostituendolo con un finanziamento privato fiscalmente incentivato, che il Consiglio Nazionale del PLI ha deciso di sostenere, contribuendo alla raccolta delle firme.

E sono certo che altre occasioni non mancheranno, se solo si vorrà cercarle.

© Rivoluzione Liberale

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1 COMMENTO

  1. Mi pare un discorso serio e argomentato. Apprezzo coloro che vorranno impegnarsi su questa linea.Personalmente proseguo secondo la linea del percorso di vita. Giovani di azione cattolica, UCIIM, ARDeP, AIDU, Partito popolare, Ulivo, PD, reti e iniziative per capire e per farsi sentire. E’ vero che tutto cambia. Ma i movimenti casuali di tipo gassoso non aiutano a capire chi cambia, in rapporto a chi e a che cosa, e per arrivare dove. A dire il vero ne sappiamo tutti molto poco. Prima però di rinunciare a una zattera, nel mare in tempesta, bisogna essere informati bene su chi ti offre di salire a bordo. Certo non si deve solo stare a vedere, e qualche rischio occorre assumerselo, perché la storia in certi momenti non concede pause di riflessione molto lunghe. Luciano Corradini

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