È difficile dire già oggi se la domenica elettorale in Europa porterà davvero la svolta che alcuni proclamano, ma certo essa è destinata a lasciare un segno profondo. Al di là dei titoloni impressionistici, cerchiamo di analizzarne la portata e di immaginarne le conseguenze con la serenità e la lucidità necessarie, partendo dalla considerazione che i risultati elettorali in Grecia, Francia, Germania, Inghilterra e in Italia hanno aspetti comuni e altri manifestamente differenti e locali.

Partiamo da quelli comuni: in tempi di crisi economica e di grave disagio sociale, è normale che il voto punisca i partiti che esercitano, o hanno esercitato in un recente passato, responsabilità di governo, scegliendo varie strade: la non partecipazione al voto o la fuga verso la pura irrazionalità, rappresentata da movimenti, di destra o di sinistra, che hanno come minimo comun denominatore quello di rappresentare un’antipolitica rozza, urlata, demagogica, ma incapace di proporre soluzioni serie ai problemi complessi di una moderna società avanzata. Può spiacere che così sia, ma la libertà dell’elettore è insindacabile e se l’antipolitica avanza è in grandissima parte colpa della politica ufficiale e canonica, che ha creato un sistema autoreferenziale di privilegi e di sprechi, congiunta a una effettiva incapacità di sciogliere i nodi del Paese, e ancora balbetta alla ricerca di risposte e formule, in gran parte cosmetiche.

Veniamo ora alle differenze localistiche. In Italia hanno pagato il conto soprattutto i partiti afflitti, come la Lega, dagli scandali o – come il PDL – dal discredito del loro  leader, punito per tutte le roboanti promesse non mantenute e per la montagna di spazzatura che a causa sua siamo obbligati quotidianamente a ingerire. Per fortuna da noi non sono prevalsi movimenti neofascisti e, quanto ai “grillini”, sono piuttosto d’accordo col commento che ha fatto a Radio Londra Giuliano Ferrara: certo, sono andati bene in alcune città, come Parma e Genova, ma per chi strombazzava di voler spazzare via il sistema dei partiti, si è trattato di un tonfo. Nel complesso, il PD ha retto ma è certo che la sinistra più radicale e protestataria è cresciuta.

Guardando all’immediato, la prima constatatazione è che si è trattato di elezioni locali senza diretta influenza sulla composizione delle forze in Parlamento. Ma un pericolo a livello nazionale esiste, ed è che, nella resa di conti interna che si aprirà certamente in seno al PDL (e forse non solo), prevalga la tentazione di una fuga in avanti verso l’irrazionalità, la voglia di spaccare tutto e rischiare la carta pericolosissima delle elezioni in ottobre. Certe ambigue dichiarazioni recenti di Berlusconi potrebbero farlo pensare, ma speriamo che prevalgano buon senso e sangue freddo e i tre maggiori partiti continuino ad appoggiare l’opera di risanamento e, speriamo, di crescita, che il Governo Monti ha avviato con pazienza e non poco coraggio.

In Francia, come ho scritto di recente, più che una vittoria dei socialisti o di Hollande, si è trattato di una sconfitta di Sarkozy, della sua personalità conflittiva, della sua arroganza, delle sue vicende personali e familiari poste al centro dell’attenzione pubblica e, anche in questo caso, delle tante promesse non mantenute. L’ex-Presidente ha avuto l’onestà intellettuale di riconoscerlo e di farsi da parte (a differenza da Berlusconi, che sotto sotto si considera sempre indispensabile), dichiarando di rinunciare alla politica (una domanda un pò maligna: che farà Carla  Bruni con un Sarkozy pensionato e amareggiato?). Ha pagato anche l’alleanza con la Merkel? Marginalmente, forse sì, ma non cediamo alla facile moda di addossare a quella sana massaia tedesca, abituata a fare seriamente e onestamente i conti della spesa e attenta a non spendere più di quanto possa, responsabilità che spettano a chi, in altri Paesi europei, ha governato per decenni con irresponsabile sfrenatezza, promettendo, e spesso concedendo, tutto a tutti, e senza affrontare i nodi strutturali che bloccano l’economia, non solo in Italia ma nella stessa Francia.

Come cambieranno le cose con Hollande? Intanto, devo ripetere qui un caveat già espresso: nonostante la natura presidenzialista del Paese vicino, il Presidente è quasi disarmato se non lo accompagnano la maggioranza del Parlamento e il Governo che ne è l’espressione. Le due cose non sempre coincidono e sia Mitterrand che Chirac, presidenti forti se mai ce ne sono stati, hanno dovuto coesistere con governi di segno politico diverso e, al di fuori della condotta della grande politica estera e di difesa, è sempre stato il governo a imporre la sua linea. I numeri usciti dalle presidenziali di domenica non garantiscono al 100% una maggioranza socialista in Parlamento e non è impossibile che Hollande debba fare i conti con l’appoggio, o dei centristri di Bayrou, o della sinistra estrema di Melanchon, con le ovvie conseguenze sulla linea politica ed economica che potrà seguire.

Ma immaginiamo che la razionalità gallica prevalga (è probabile) e che l’elettorato dia ai socialisti nelle legislative di giugno la stessa maggioranza che ha dato al loro candidato all’Eliseo e che Hollande possa attuare il suo programma senza grandi ostacoli e cerchiamo di analizzarlo. Durante la campagna, il candidato socialista ha annunciato varie intenzioni. Alcune riguardano la Francia al suo interno, altre la sua politica estera. Quanto all’interno, Hollande ha detto: di voler riportare l’età pensionabile a 60 anni, però, attenzione, non “per tutti”, come proclamano con incredibile faciloneria i titoli di alcuni nostri quotidiani, ma per chi ha incominciato a lavorare prima dei 18 anni ed ha un numero adeguato di anni contributivi, e per chi esercita lavori pericolosi o duri (non mi sembra, a dire il vero, una grande rivoluzione); di voler dare il voto agli immigrati non comunitari nelle elezioni locali (si può discutere, ma questo già avviene in altri Paesi europei e, ad ogni modo, per la necessaria modifica costituzionale Hollande avrà bisogno dei tre quinti del Parlamento, che non credo avrà, o altrimenti dovrà promuovere un referendum popolare e sarà quindi il popolo francese a decidere); di voler rafforzare sicurezza e giustizia con l’assunzione di 1000 gendarmi, poliziotti e giudici all’anno (credo che persino Marine Le Pen approverebbe); di voler contenere l’immigrazione legale secondo “parametri oggettivi” (vedremo cosa questo significherà); di rafforzare i diritti individuali, con il diritto alle nozze e all’adozione per gli omesessuali (così aprirà una piaga nella società francese e alimenterà l’estrema destra, ma non si tratta di un’idea inedita, giacchè varie altri Paesi occidentali l’anno già adottata).

Fin qui, dunque, questioni interne, su cui possiamo discutere accademicamente, e che vedremo se e quali limiti incontreranno nella realtà, ma che riguardano in fin dei conti i francesi. Poi ci sono due iniziative di politica estera che, invece, ci toccano da vicino: ritiro dall’Afganistan entro l’anno (ed è ovvio che questo farà accrescere la pressione dell’opinione pubblica italiana sul Governo per una mossa analoga) e, soprattutto, revisione della politica economica dell’Unione Europea, con accento sulla crescita, a cominciare dalla revisione del patto fiscale. Buone intenzioni, ma la Francia, per quanto importante, non può decidere per tutti e già la Germania ha dichiarato che il patto fiscale non si tocca. E ancora una volta, come dare torto a chi è sistematicamente chiamato a pagare di tasca propria gli errori e gli sprechi altrui e solo con fatica è riuscito a far accettare al Parlamento gli ultimi pacchetti di aiuti ai partner europei deficitari?

Sotto questo aspetto, le elezioni dello Schleswig-Holstein, pur confermando una sostanziale tenuta dei due partiti filoeuropei, hanno visto una significativa avanzata di movimenti nazionalisti che invece all’Europa sono dichiaratamente ostili: e non, come altrove, perchè l’UE fa una politica di rigore, ma perchè non la fa abbastanza e “si svena” per gli altri (questa è la differenza di fondo con quanto è avvenuto in Grecia). E ai critici della Merkel va detto: attenti, perchè un eccessivo distacco dalla responsabilità fiscale può portare quei movimenti e correnti di fondo dell’opinione a un punto di forza tale da mettere in pericolo l’europeicità della Germania e questo sarebbe un disastro di immense proporzioni.

Veniamo ad Atene, per poi trarre alcune conclusioni e azzardare qualche previsione generale. In Grecia ha vinto chiaramente la protesta per una politica di rigore necessaria, ma pesantissima (quale da noi non ce la siamo neppure sognata), ma anche la reazione verso i partiti che hanno irresponsabilmente portato a questa situazione (anche se la colpa è di tutto un Paese che negli ultimi decenni ha vissuto, in una specie di euforia collettiva, molto al di sopra dei suoi mezzi; ma chi se ne ricorda in momenti di resa dei conti?). Era prevedibile, perchè nel grande inconscio collettivo la razionalità fa sempre fatica a prevalere e non solo in Paesi dell’emotività della Grecia. Però il quadro uscito dalle elezioni di domenica è tutt’altro che chiaro. Se Nuova Democrazia e Pasok non sono riusciti insieme ad accordarsi per una maggioranza, non sembra probabile che ci riesca la sinistra estrema, risultata al secondo posto. E quindi? Quindi, o qualche formula pasticciata destinata a durare poco tempo, o nuove elezioni a giugno. Bisognerà vedere se, al termine di questo cammino certo accidentato, si affermerà una formula di governo in grado di rispettare gli impegni presi dai precedenti Governi e Parlamento con FMI e UE, o prevarrà la tentazione di una fuga in avanti, che non potrà che essere verso il default e, come quasi inevitabile conseguenza, l’uscita dall’euro. Conseguenze gravissime, innanzitutto perla stessa Greciache, passato un momentaneo, effimero sollievo, cadrebbe in una crisi anche più grave, e certamente per l’insieme della zona euro, sia per l’indebolimento della moneta comune sia per l’effetto di contagio su altre economie deboli e potenzialmente tentate di intraprendere la via dell’irresponsabilità; ma, tutto sommato, superabili se l’Europa più seria  saprà mostrare sufficiente coesione, determinazione e chiarezza di vedute e non cederà al facile panico dei mercati e al catastrofismo della stampa.

Conclusioni e previsioni. La prima è che, davanti all’avanzata antieuropea, e antiresponsabilità fiscale (che sono due facce della stessa medaglia) occorre che le forze politiche reponsabili cooperino più di quanto non accada adesso, almeno sulle linee fondamentali (e non devono quindi essere escluse, in Germania e altrove, vere e proprie “grandi coalizioni”). La seconda è che la fase, più che necessaria, del rigore fiscale (senza la quale saremmo già in profondo rosso e in una situazione di catastrofe economica) deve essere ora seguita da una fase di espansione economica e occupazionale, realizzabile solo a livello europeo. Come venirne a capo? Scorciatoie non ce ne sono, come ha ricordato Mario Monti, e soprattutto non è possibile finanziarla con nuovi debiti indiscriminati.

Tuttavia, una visione più a lungo termine del rientro del debito pubblico può forse servire (purchè non serva da alibi a un ritorno ad una sostanziale rilassatezza). Inoltre, una limitata svalutazione dell’euro potrebbe servire a dare fiato alle esportazioni dell’eurozona (che comunque stanno andando piuttosto bene). Ma attenzione, un euro più debole porta automaticamente a un aumento della bolletta energetica e alimentare, due settori in cui l’Eurozona è grande importatrice. Soprattutto, l’Europa ha bisogno di una vigorosa politica di infrastrutture, di nuove e immaginative politiche delle energie rinnovabili, di una avanzata politica di protezione dell’ambiente e di risanamento dei territori, di avanzata ricerca scientifica e tecnologica.

Trovare finanziamenti non è facile: sul piano individuale, risorse possono essere reperite in Italia da alcune fonti cruciali: abbattimento della spesa della Pubblica Amministrazione, vendita degli immobili non necessari, confisca dei beni mafiosi, lotta all’evasione, ma tutto questo non basta se manca un piano di crescita davvero europeo. In Europa c’è tuttora una sufficiente liquidità finanziaria in cerca d’impiego. Il giorno in cui la Germania accetterà un ruolo maggiore per la BCE, la possibilità di eurobond e il principio di escludere dal computo del debito pubblico i prestiti “project financing” capaci di ripagarsi autononomamente, sarà fatto un passo avanti di grande portata. Come ha osservato Sergio Romano sul Corriere, in fin dei conti nei Paesi europei che contano la convinzione della necessità di un’Europa integrata economicamente continua a essere maggioritaria nelle forze politiche ed anche i movimenti antieuropei, di sinistra o di destra, dimostrano “a contrario” che altra alternativa credibile all’Europa non c’è.

L’elezione di Hollande, i risultati in Grecia e in Italia, la recente crisi di governo in Olanda, mostrano che un aggiustamento delle politiche europee ora si impone per la forza imparabile della realtà politica, perché se il rigore fiscale è necessario (tanto per i singoli, quanto per le imprese e per le comunità politiche, siano esse Stato, Regioni, Comuni), non basta solo rigore, a medio o lungo termine.

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