La democrazia reclama l’uguaglianza, la tradizione liberale la libertà dell’individuo. La democrazia liberale mira a far dialogare l’uguaglianza con la libertà. In pratica la libertà deve trovare spazio nella teoria democratica e l’eguaglianza deve essere accolta dalla dottrina liberale. La democrazia liberale, paragonata con gli altri ordinamenti storici, appare la più desiderabile ma anche la più difficile da realizzare, perché la democrazia, per sua natura, è una teoria del potere e il liberalismo teorizza i limiti del potere.
La democrazia liberale è, in sintesi, una forma di Stato e di governo che si basa sulla rigorosa separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), promuove e protegge i diritti inalienabili dell’individuo (vita, libertà, dignità, uguaglianza) e le libertà individuali (libertà di parola, di associazione, di culto, di proprietà) attraverso una Costituzione che, in questa prospettiva, rappresenta la massima garanzia della libertà. La Costituzione pone inoltre dei limiti all’autorità del governo rappresentando la garanzia dello Stato di diritto. Il costituzionalismo è liberale e la democrazia si svolge all’interno della cornice costituzionale, ciò che unisce, in un unico quadro, democrazia e liberalismo. La costituzione moderna, un contratto scritto sul riconoscimento e le garanzie dei diritti e, funzionalmente alla tutela di questi diritti, sulle allocazioni dei poteri pubblici, garantisce, realmente e idealmente, lo status di individuo ‘libero’.
Il Moderno, per di più, si configura come ‘liberazione individuale’: liberazione dalla tradizione, dai vincoli religiosi, economici, sociali e politici; dalle comunità di ogni genere, sia personali sia professionali. Questo processo di affrancamento si è storicamente tradotto nel riconoscimento a ogni singolo soggetto di una cerchia di ‘diritti’ direttamente proporzionali ai ‘doveri’ e agli ‘obblighi’ che derivano dallo ‘status’ di cittadino. La libertà, non a caso, è sempre legata al principio di ‘responsabilità’ per cui l’individuo non è semplicemente libero ma ha, nel contempo, il dovere di essere direttamente responsabile della sua libertà. L’idea moderna di Costituzione si lega quindi essenzialmente all’idea di individuo libero e responsabile, fornito di una volontà autonoma.
La dottrina liberale è per sua natura di matrice costituzionale, così come la teoria costituzionale si identifica a pieno titolo con la teoria liberale nel momento in cui riconosce l’individuo sovrano. Costituzionalismo e democrazia sono fenomeni differenti ma non antitetici, bensì complementari. Non si elidono bensì si compensano ed è questa la strada da percorrere per conciliare, nel migliore dei modi, il pensiero liberale con la teoria democratica. Il punto di contatto sul quale fare leva, che consente il discorso e il dialogo tra le due prospettive, esiste e si può rinvenire in un dato storico che ha esercitato, e continua a esercitare, una forte pressione sulla politica e sulla società: il ‘progetto moderno’ (che nello specifico è il progetto liberale), ossia l’ideale di una società di individui sovrani che agiscono all’interno di un’organizzazione politica garantita costituzionalmente, il governo delle leggi. Si tratta, per l’appunto di un progetto, di un’aspirazione costante: ogni democrazia nella concretezza storico-politica, storico-sociale e storico-spirituale aspira, costantemente, a diventare ‘liberale’. Si tratta di un progetto mai compiuto ma in continuo divenire, mai perfetto ma perfettibile, proprio come vuole lo spirito liberale.
Uno Stato moderno, liberale e democratico, è lo Stato degli individui e non dei poteri forti. Il tessuto sociale che anima il suddetto Stato è però formato, ieri come oggi, da migliaia di associazioni e formazioni che permettono all’individuo di essere ciò che è. Come osserva il filosofo politico statunitense Michael Walzer, “la coesistenza di gruppi forti e di individui liberi, con tutte le difficoltà che comporta, è un tratto durevole della modernità”. Queste formazioni sociali rivendicano, oggi più che mai, una loro pari dignità rispetto ai privilegi ascritti alla maggioranza dalla teoria democratica; esse rivendicano, al tempo stesso, uno spazio che sia indipendente dallo Stato come esso è stato finora, uno spazio che sia il motore della vita politica e di una vera democrazia liberale. Come una cartina di tornasole, il suddetto spazio (mancato) rivela il corto circuito e le criticità del progetto moderno che, sin dai suoi albori, si scinde tra naturalità e socialità – ciò che costituisce il retroterra della cultura illuminista e razionalistica – cercando di comporre queste due anime in un’anima sola.
L’anima della democrazia liberale è, per l’appunto, una medaglia a due facce: naturalità (l’individuo sovrano) e socialità (la sana e democratica comunicazione tra individui eguali). La democrazia liberale, individuata la contraddizione tra democrazia e libertà cerca, in pratica, di trasformare tale contraddizione in un’opportunità. In quest’ottica viene recuperata l’idea positiva del conflitto e la sua necessità all’interno di una società democratica: la partecipazione invocata dalla democrazia esige una buona dose di conflittualità sociale per poter affermare i diritti degli individui e per far sì che la partecipazione stessa si concretizzi. La partecipazione politica dei cittadini deve inoltre tendere all’unità politica (unità, non unione o ancor peggio ‘massificazione’) deve cioè mirare alla realizzazione del ‘bene comune’ nel rispetto dei settoriali moventi dei singoli. La partecipazione democratico-liberale è quindi alimentata dal conflitto che genera riconoscimento e, paradossalmente, è in grado di avvicinare le parti antagoniste, proprio come esige lo spirito liberale.
L’idea democratica della negatività del conflitto rappresenta invece il declino della civiltà moderna, che vive e si evolve grazie al conflitto il quale svolge, a sua volta, una funzione integrativa e di coesione. Nella genesi stessa della democrazia è inscritto il totalitarismo considerato, in casi estremi, un’uscita di sicurezza di fronte a conflitti che non siano gestibili o altamente rischiosi per la coesione sociale. In un’ottica liberale, al contrario, la coesione sociale è la risultante stessa del conflitto che, come afferma lo storico e filosofo francese Marcel Gauchet, “è a suo modo produttore particolarmente efficace di integrazione e di coesione”. È proprio questa forza di coesione e di integrazione che manca all’attuale forma della democrazia che deve quindi recuperare, necessariamente, la ‘forza liberale’. In questo contesto si inserisce l’attuale crisi dei partiti, o meglio di “questi partiti” – come reclamato anche dal nostro Capo dello Stato – i partiti dirigisti e totalitaristi che non fanno del gioco di squadra il loro motore ma, al contrario, affidano la politica a delle personalità. Sono i partiti che non organizzano dei congressi ma delle convention, che parlano di riforme solo in campagna elettorale, trascurandole poi in Parlamento. In pratica più che ‘i partiti’ sono ‘questi partiti’ che devono essere superati, recuperando il valore del confronto – che è un principio liberale e vitale in democrazia – e spersonalizzando il più possibile il potere politico vincolandolo allo Stato di diritto, in pratica vincolando chi fa le leggi alle leggi che fa.
La democrazia ha quindi bisogno degli aggettivi ‘costituzionale’ e ‘liberale’ per realizzarsi nel migliore dei modi, per costruire una società e, soprattutto, una politica migliore; per realizzare un ordine politico non oppressivo e un’attività politica reale e realista che sia in grado di ascoltare e accogliere le richieste provenienti dalla ‘società degli individui’. È questo il messaggio liberale per cui libertà e legalità sono indissolubili. In questa prospettiva necessariamente conflittuale e antagonista – in cui però essere differenti, non vuol dire essere distanti bensì aperti al dialogo (principio liberale) – il costituzionalismo democratico deve essere in grado di metabolizzare dei principi liberali per riorganizzarsi e rigenerarsi dall’interno. L’alternativa più funzionale all’unità totalizzante della democrazia, imposta dall’alto, è la democrazia liberale e quindi anche il conflitto, quello costruttivo, in pratica ciò che salva la democrazia dal rischio dell’omogeneizzazione o, ancor peggio, della ‘massificazione’ sociale, della tirannia della maggioranza o delle maggioranze, o semplicemente salva la democrazia dalla deriva totalitaria inscritta nella sua genesi. Nel Terzo millennio la democrazia ha bisogno di reinventarsi in forme nuove aperte all’Europa e all’Occidente e sussidiarie, o meglio complementari, all’idea di libertà.
La qualità e l’attualizzazione pratica dell’ideale di uguaglianza dipende dall’armonizzazione dei conflitti esistenti all’interno della politica e della società, “non c’è uguaglianza, infatti, senza scontro con l’altro – affermava già Tocqueville ai suoi tempi – scontro iscritto nella logica stessa, che mi dà l’altro come indiscutibilmente identico, sempre, anche al di là di un’irrimediabile divergenza di posizioni, per nulla accidentale, bensì dipendente dall’ordine del mondo in cui dobbiamo coesistere”. Questa dialettica ha caratterizzato le società democratiche fino ad oggi ma, nel momento attuale, deve essere necessariamente ravvivata concependo un’organizzazione democratico-liberale che non sia focalizzata, meramente, sul principio di uguaglianza come fondamento di ogni libertà (artt. 2, 3 Cost.) ma nella quale il conflitto sia funzionale, più che all’uguaglianza in generale, al mantenimento e allo sviluppo della libertà di individui eguali e, nel contempo, differenti.
Occorre una democrazia liberale che concepisca un sistema politico in grado di essere anticipatamente critico dei rischi di decadenza (degeneranti e di involgarimento) insiti in una struttura politica non differenziata, monolitica e non plurale. Si avverte, oggi più che in altri periodi storici, l’urgente necessità di una democrazia delle differenze – in pratica una democrazia liberale – che non dia corpo all’idea di democrazia come veicolo di appiattimento e vuoto egualitaristico ma che, al contrario, sappia immaginare una configurazione, anche giuridica, delle forme politiche all’altezza delle nuove dimensioni umane della convivenza democratica e liberale. Spetta inoltre all’individuo, quale suo dovere morale, recuperare una dimensione dignitosa dell’esistenza senza la quale – come intuiva il premio Nobel Albert Camus (1913-1960) – la libertà e la democrazia non hanno futuro, ma quest’ultima è soltanto un affascinante scenario, la forma ‘astratta’ di uno Stato egualitario e deteriore, nel quale tutti sono considerati, ugualmente, ‘mezzi’ e non ‘fini’.
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