“Ora abbiamo un Fiscal Pact, ma quel che è più presente nella mia mente è che abbiamo bisogno anche di un Growth Compact”, dichiarava il presidente della BCE Mario Draghi lo scorso 25 aprile, trovando immediato supporto nelle parole della Merkel, che in conferenza da Berlino, definiva la politica fiscale sostenibile una condizione necessaria ma non sufficiente per superare la crisi. Certamente, di crescita si parla da tempo, ma come direbbe il Premio Nobel Robert Solow, della crescita si conoscono gli ingredienti ma non la ricetta, o per essere più coerenti con la situazione odierna, ognuno possiede la propria ricetta ma non è chiaro quale sia la migliore.
Il pensiero di Mario Draghi, espresso prima dei risultati elettorali in Francia, Grecia, Italia e Germania (le regionali in Schleswig-Holstein), è stato assorbito dagli attori delle campagne elettorali e declinato da essi nella forma più congruente ai singoli punti di vista, riassumibili in due sfere omogenee e contrapposte di applicazione pratica: da un lato la rampante sinistra europea, di cui attualmente si fa portavoce il neoeletto presidente Hollande, dall’altro il centro-destra rappresentato dalla Merkel, che si mantiene in linea con le richieste di politica-economica proposte dalla stessa BCE.
Hollande, come ha ribadito nel dibattito televisivo dello scorso mercoledì, punta alla nascita degli Eurobond (ribattezzati Project Bond) per finanziare la spesa europea in infrastrutture, a un maggior ruolo della Banca Europea degli investimenti, intende porre un accento minore su deficit e debito e maggiore sulla spesa pubblica e sull’intervento statale. All’opposto, Draghi e Merkel sono da sempre contrari ai Bond, condividendo l’idea tipicamente liberale che la crescita venga dalle liberalizzazioni, da una maggiore concorrenza e competitività, dalla riforma delle pensioni, della scuola e di tutti quei settori gestiti con sperpero inefficiente delle risorse fornite.
Quale che sia la ricetta migliore, il fulcro sarà la capacità di far riacquistare credibilità e fiducia alla zona euro, le variabili più immateriali e tuttavia le fondamentali: come ad esempio dimostra un’interessante proiezione a pagina 6 del Documento di Economia e Finanza 2012 (DEF 2012), in assenza di fiducia le manovre di correzione dei conti pubblici italiani avrebbero un effetto negativo per il prossimo triennio (-0,9%, -1,4%, -1,2%), mentre in presenza di fiducia porterebbero quasi a un rientro del deficit nello stesso lasso di tempo (-1,1%, -0,7%, -0,1%).
Se si cominciasse a ragionare di crescita in maniera unitaria e decisa – ad esempio promuovendo spese infrastrutturali finanziate da appositi enti comunitari, che godrebbero di un basso costo del debito, mantenendo intanto la mano salda sulle politiche di rigore intraprese – i mercati mondiali arriverebbero finalmente a capire che nel Vecchio Continente non si è ancora perso il palato per la ‘buona cucina’.
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