In un editoriale del Corriere, Sergio Romano ha parlato con molta giustezza della “risposta che non c’è” da parte dei partiti alla situazione critica in cui si trovano, non soltanto l’economia e l’occupazione, ma la stessa politica in Italia. E ha ricordato che, mentre in Spagna e in Francia l’insieme delle norme costituzionali ha permesso una chiara alternativa di governo, da noi la frammentazione e la confusione estreme, confermatesi e aggravatesi nelle ultime elezioni locali, ci avvicinano  pericolosamente a uno stato di pratica ingovernabilità assai simile alla Grecia. Ricordando sotto quale segno era  nato il Governo Monti nel novembre scorso, nell’impostazione datagli dal Capo dello Stato, Romano osserva che al Parlamento e ai Partiti era assegnato il compito, mentre il Governo governava, di dedicarsi a poche essenziali riforme, costituzionali e altro: revisione della legge elettorale, statuto giuridico dei partiti, revisione del finanziamento pubblico,  dimezzamento dei parlamentari (ma io direi, soprattutto, del personale politico delle regioni, province e comuni e delle loro scandalose retribuzioni), azzeramento delle province, legge anticorruzione.

Non si può non dare ragione all’editorialista del Corriere quando constata, con amarezza, che in sei mesi abbondanti nulla, proprio nulla, di questo è stato fatto.  In cambio, i principali partiti, dopo  un periodo di convergenza e di responsabilità, si sono lasciati di nuovo andare all’eterno, insopportabile teatrino. Teatrino, e della peggiore specie, s’intende, quello dei Grillo (dopo tutto è il suo mestiere), deiDi Pietro(che parla di economia di cui non sa assolutamente nulla), teatrino quello dei  leghisti che tentano di far dimenticare le proprie vergogne cavalcando l’ovvio scontento di chi è costretto a pagare più tasse, dimenticando di essere  corresponsabili  in prima persona  del disastri degli ultimi anni, se non altro alimentando un federalismo costoso e inefficace. Teatrino quello di Berlusconi, che dice e non dice, minaccia e lusinga, dice di voler lasciare ma intanto è sempre lì, incombente come uno spaventapasseri, e ha la sfrontatezza di parlare della fase attuale come di “sospensione della democrazia”, come se il Governo non fosse stato designato dal Capo dello Stato e non avesse avuto la fiducia dei due rami del Parlamento, nel pieno rispetto delle regole democratiche e costituzionali, e fosse invece il frutto di qualche golpe (del resto, sappiamo bene che concetto della democrazia abbia chi si è dichiarato ripetutamente sottratto al giudizio della Magistratura per reati comuni, comuni e non politici, perche eletto dal popolo). E teatrino, purtroppo, anche quello di Alfano, che ci era parso persona  relativamente più seria, e ora ha avuto la faccia tosta di attribuire il calo del PDL, non alle nefandezze del suo leader, ma al sostegno dato al Governo Monti e ha avuto la bella trovata di dichiarare “basta coi vertici a tre” (che erano una delle cose più civili e apprezzabili apparse nella politica italiana di questi mesi). Teatrino  da avanspettacolo  quello  dei  penosi  comprimari, i Gasparri, Cicchitto e compagnia, voci del ventriloquo, che invece di trarre le ovvie conclusioni dalla seconda batosta elettorale in un anno, cercano di smarcarsi dalle loro responsabilità prendendo sornionamente le distanze da un Governo che sta facendo quello che può (anche se non ancora tutto quello che deve), Governo che, più ancora che il medico chiamato al capezzale di un malato grave e costretto ad amministrare una cura da cavallo, è il curatore di un fallimento che tutti, da Berlusconi a Prodi, da Bertinotti a Bossi, hanno provocato e, coi malevoli  distinguo e le affioranti tentazioni di fuga in avanti verso l’irrazionale, non fanno che aggravare (qualcuno si è chiesto perché la Spagna, con un’economia meno forte della nostra, ma un Governo stabile e una maggioranza seria e coesa, riscuote più di noi  fiducia dei mercati?). Teatrino quello di Vendola, ombrato da non chiarite frequentazioni in materia di sanità, che non si sa bene che rimedi propone alla crisi, al di fuori di un deficit spending che in pochi mesi ci porterebbe a una situazione peggiore di quella greca (qualcuno  spieghi come potrebbero governare insieme, in un futuro non lontano, Bersani, Vendola,Di Pietro, il cui senso della realtà è diametralmente opposto: ci si prepara un altro indigeribile  pasticcio del genere Prodi?).  Teatrino i sindacati, che sanno benissimo come stanno le cose, ma avanzano proposte generiche e irrealizzabili e lanciano slogan roboanti e inutili, anzi dannosi, scioperi e manifestazioni di piazza, anch’essi dimenticando di essere corresponsabili non minori dello stallo dell’economia italiana. E teatrino, ahimè, anche quello dello stesso Bersani, che fu un decente Ministro dell’Industria e che credo sia il primo a capire il carattere necessario e inevitabile della politica del Governo, ma non resiste a seguire  l’onda del malumore sindacale, invece di dire chiaramente alla sinistra, ai sindacati e all’insieme del Paese, la verità, e forse vorrebbe mettere sul Governo la  bandierina del PD e condizionarne o addirittura guidarne le prossime scelte. Con lo sguardo fisso al potere da conquistare, un potere che è una polpetta avvelenata per chi lo esercita e non ha in mano, com’è purtroppo il caso, nessuna la bacchetta magica.

È facile accusare e vituperare, molto meno fare una politica realistica ed efficace. In un’altra nota del Corriere, si parla bene a proposito di “solitudine” e di “amarezza” di Monti, che, tranne il Centro, un po’ tutti cercano ora di  lasciare a sé stesso: un  uomo capace e disinteressato, sul piano personale e politico, che è stato chiamato a salvarci in un momento terribile, e all’inizio è parso riuscirvi, anche se con un costo  umano grave, e ora vede che, dichiaratamente o larvatamente, lo si addita, assieme alla Cancelliera tedesca, a responsabile di tutti i mali; e a farlo sono, non solo alcuni demagoghi irresponsabili e in mala fede, ma anche taluni rappresentanti di forze suppostamente serie e, per di più, gente che i mali li ha, per colpa o ignavia, procurati e aggravati durante anni, decenni, di rilassatezza. Come se fosse sua la colpa del deficit che ci soffoca, dello spread in altalena, delle imprese che falliscono perché l’economia globale, almeno in Occidente, non tira. Eppure, anche a Monti e ad alcuni suoi Ministri, uno o due consigli vanno dati: è brutto vedersi accusati e vituperati, ma non cedano alla voglia, tanto umana, di far polemica. Le polemiche di basso conio le lascino agli altri. Loro  facciano fino in fondo quello che sono stati chiamati a fare, e lascino che il Paese e la Storia, o semplicemente il tempo galantuomo, li giudichino. E inoltre, capiscano che il Paese ha bisogno di un po’ di fiducia in sé stesso e nel proprio futuro: sappiamo bene il male che hanno fatto l’irresponsabile negazione dell’evidenza, il festoso ottimismo del Cavaliere miliardario (ricordate la frase: “i ristoranti in Italia sono pieni”?); ma non si cada ora nell’eccesso opposto, si eviti di servirci dal più alto scranno della politica una dose troppo grossa di tragedia; nel peggiore dei casi, si evitino i commenti e le previsioni luttuose; nel migliore, ci si infonda di tanto in tanto una leggera iniezione di speranza in un futuro non troppo distante. L’economia, si sa, vive anche, forse soprattutto, di fiducia, ma la fiducia deve infonderla chi ha in mano le chiavi del futuro. Il Governo si dedichi anima e corpo ai compiti che veramente oggi si impongono: tagliare la spesa pubblica, operare assieme a Hollande e a Draghi, e ovviamente alla Merkel,  perché l’Europa si dia finalmente gli strumenti  di una crescita reale e sostenibile, non meramente deficitaria, nei termini che lo stesso Presidente del Consiglio viene negli ultimi tempi indicando. Se vi saranno i primi, anche se timidi, risultati, nella seconda metà di quest’anno, e potranno essere visibili e tradursi in termini di sollievo dell’economia, gli Italiani lo capiranno e apprezzeranno e tutto sarà diverso.

Per quanto riguarda i partiti, Sergio Romano ha ricordato nel suo editoriale che hanno ancora un po’ di tempo  per un soprassalto di energia, ma che questo tempo si fa sempre più corto e la porta è sempre più stretta. Se i principali partiti, invece di dedicarsi alle angosciate (e sistematicamente sbagliate) analisi postelettorali o a lanciarsi al “Monopoli” delle alleanze, utilizzeranno lo scorcio della legislatura per rifare la legge elettorale, darsi uno statuto giuridico e una seria revisione del finanziamento pubblico  e perlomeno avviino  il processo costituzionale diretto a snellire il Parlamento, a superare il bicameralismo perfetto, a eliminare il peso delle province e di un personale politico a tutti i livelli eccedentario e parassitario, potranno salvarsi. È, insomma, il momento di un ritrovato senso di responsabilità. Se i partiti non lo coglieranno, condanneranno  sé stessi e il Paese a un futuro quanto mai incerto e certamente non roseo, forse di ingovernabilità e forse di dominio di quelle forze dell’antipolitica  che essi stessi denunziano come un pericolo grave. L’Italia, francamente, merita di meglio.

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