L’Europa attraverso l’Eurogruppo e l’Ecofin, svoltisi martedì e mercoledì scorsi, ha concentrato nuovamente la sua attenzione sulla situazione greca, attendendo i risultati delle negoziazioni per la formazione di un nuovo governo che possa tenere fede agli impegni presi con la troika (Commissione UE, FMI e BCE) in cambio degli aiuti miliardari concessi nei mesi scorsi. Mercoledì, in Grecia sono falliti gli ultimi tentativi di un governo di unità nazionale e si è deciso di tornare al voto a giugno, mettendo i mercati e gli spread di mezza Europa a dura prova per almeno un mese ancora.
Tra Jean Claude Junker, presidente dell’Eurogruppo, e Wolfgang Shcauble, ministro delle finanze tedesco la linea è molto chiara: la possibilità della Grecia di rimanere all’interno della zona euro dipende esclusivamente da lei. Un eventuale governo greco di sinistra radicale, notoriamente anti austerità, guidato da Tsipras, che i sondaggi danno come favorito, potrebbe essere fatale per il paese ellenico e per la sua permanenza nella zona euro.
L’uscita dalle Grecia dall’euro è ormai un’ipotesi che si fa sempre più concreta, i costi che essa avrebbe sarebbero però stratosferici. Tra le varie ipotesi e previsioni c’è quella compiuta da UBS che considera lo scenario di uscita della Grecia dalla moneta unica a dir poco apocalittico. Per prima cosa il valore della dracma crollerebbe e a quel punto la popolazione si ritroverebbe in mano carta straccia. La seconda conseguenza sarebbe l’impossibilità di ripagare il debito e lo Stato greco dovrebbe stare lontano dai mercati per anni, con tassi di interesse impressionanti e inflazione oltre il 10%. Secondo l’Istituto internazionale di finanza l’uscita dall’euro della Grecia costerebbe circa 1.000 miliardi di euro alla sola zona euro e circa 11.500 euro ad ogni cittadino greco.
Intanto a Bruxelles è indetto un vertice straordinario tra i primi ministri dell’UE per il 23 maggio prossimo e il rischio è che la situazione greca oscuri l’impegno verso la crescita che sta finalmente per prendere una forma concreta. Hollande e la Merkel si sono incontrati un paio di giorni fa e il nuovo presidente francese sembra aver aperto un tavolo di discussioni serio con la Germania, uscita indebolita dalle ultime elezioni amministrative, nella quale comunque la linea del rigore non sembra essere in discussione. Il neo presidente francese sembra intenzionato, tra le altre cose, a riportare il auge il tema dei bond europei.
Parlare di euro bond significa però affrontare una discussione molto più ampia e complicata con riferimento alla ridiscussione del ruolo della BCE e di un debito europeo “in comune”. In un editoriale apparso su Il Foglio qualche giorno fa, alla situazione viene data una soluzione “all’americana” e Alexander Hamilton diviene l’esempio da seguire per una risposta concreta al problema greco/europeo. Hamilton, primo segretario al Tesoro americano in carica dal 1789 al 1795, fu, si legge nell’editoriale, ” colui che convinse gli americani di una cosa: il debito pubblico statale non è bellissimo, ma il debito pubblico in comune fa la forza di una federazione”.
La prospettiva però non sembra essere delle migliori nel senso che, per dirla con Paul Volcker ex presidente della Federal Reserve, “il problema è che non si vedono Hamilton europei all’orizzonte”. Quindi è sì necessaria l’introduzione degli eurobond, ma bisogna essere consapevoli che ciò necessiterebbe di un passo decisivo verso un’unione politica e fiscale, purtroppo ad oggi ancora lontana.
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