Difficile credere, viste le immagini dei seggi elettorali trasmesse dalla televisione nazionale, che solo un algerino su due abbia votato. Ancora più difficile realizzare che ad Algeri, dove la disaffezione è lampante, a votare sia stato un algerino su tre. Ma questi sono risultati ufficiali delle Elezioni di 10 giorni fa in Algeria e se c’è stato qualche inghippo, il problema è da ricercare a monte, in qualche file elettorale criptato, in mano ai grandi della Nazione, o a valle, nelle operazioni di spoglio, non del tutto trasparenti. Oppure non c’è stata alcuna frode, né rottura, né disinteresse e tutti i movimenti di contestazione, apparsi a macchia di leopardo durante l’anno, erano solo una messa in scena: in realtà non ci sono problemi tra gli elettori e gli eletti.

I politologi e i sociologi si sono interrogati e stupiti di questa ‘elezione perfetta’ per il regime, come se fosse stata programmata per lui da un computer; una percentuale ragionevole di partecipanti, che non fa gridare allo scandalo come le ultime percentuali dal sapore troppo sovietico, il FLN (Front de Libération Nationale) in testa, seguito dal RND (Rassemblement National Démocratique) e dall’Alleanza islamista. All’incirca tutto come prima, come se niente fosse cambiato in quindici anni, come se nessun elettore fosse cambiato in quindici anni.  Con i suoi 288 seggi, il FLN e il RND dispongono della maggioranza assoluta nell’Assemblea popolare nazionale (APN) dove siederanno 462 deputati. Ma è soprattutto il FLN che tiene in mano le redini del gioco politico algerino, almeno la sua facciata. Con 220 deputati, il vecchio partito unico (1962-1989) ritorna prepotentemente in gioco venti anni dopo aver rischiato di sparire definitivamente per essersi compromesso, secondo il parere del ‘vero’ potere algerino (servizi segreti, cerchia presidenziale, mondo degli affari), con l’ex Fronte Islamico di Salvezza Nazionale (FIS al quale è stata proibita la partecipazione alle elezioni). Oggi il FLN non è più in pericolo di vita perché erede dei combattimenti e degli impegni che appartengono a tutti gli algerini, in poche parole: perché erede del passato. Rimane da capire qual è la natura di questa vittoria elettorale e se la si può considerare duratura.

Una delle ragioni principali per la svolta del FLN è l’astensione che si è attestata al 57,1%. Questo risultato è la conferma della sopravvivenza dello zoccolo duro degli elettori FLN, stimati essere il 20-25% degli aventi diritto al voto e in generale molto ‘disciplinati’. Con questa forza stabile, è il livello di partecipazione globale che determina il peso del FLN nell’Assemblea. C’è anche da considerare il rapporto tra età degli elettori e legame razionale con il Fronte. Il 10 maggio, sul 42,9% delle persone che si sono recate alle urne, c’era una grande proporzione di ultra-cinquantenni. E’ in questa categoria che il discorso della ‘minaccia straniera’, tema martellante della campagna del Governo, ha avuto maggior presa. Ciò non significa che queste persone siano più ingenue dei giovani che hanno massicciamente disertato le urne. Hanno probabilmente un’altra cultura politica, che li rende più inclini, senza per questo essere soddisfatti del funzionamento del sistema, a sperare in risposte pacifiche e ordinate.

Ma se la coalizione presidenziale ha vinto, non può rivendicare una vittoria totale. Quando più di un elettore su due non si sposta per votare, significa che la competizione non è affatto significativa e che molto rimane da chiarire nel paesaggio politico algerino visto che buona parte della popolazione rimane esclusa dal gioco politico. Tutto questo fa anche riflettere sui motivi dell’astensione, motivi che, alla fine, indicano anche chi siano i perdenti in questo scrutinio. Paradossalmente, fra di loro c’è proprio il potere algerino. Sono numerosi coloro che non hanno votato perché non hanno fiducia nel sistema, perché questi decenni di manomissioni dei risultati e di colpi bassi non potevano essere cancellati per incanto. Al di là della sua base nazionalista, convinta che la Primavera Araba non sia altro che un complotto, il potere in Algeria non ha convinto i suoi elettori. Questo potrebbe creare grossi problemi in futuro. Cosa succederà se, malauguratamente, il regime non riuscisse e a mantenere la pace sociale? Cosa succederà se la pazienza degli algerini dovesse giungere al capolinea? Aspetteranno le elezioni presidenziali del 2014?

I discorsi sono rivolti alla ragione, la propaganda all’istinto. Cosa è stato detto per mesi agli algerini? Che se non votavano “chi sapevano loro”, come ha detto il Presidente Bouteflika nel suo discorso prima delle elezioni, sarebbero stati attaccati, il Paese sarebbe stato depredato, distrutto, colonizzato nuovamente. Da chi? Dagli ‘altri’, dalla NATO, dai sionisti. L’idea implicita era che la democrazia è una minaccia e il cambiamento, un’avventura rischiosa. Di colpo, di fronte all’ignoto non rimaneva che una soluzione: “noi” ha detto il regime, i suoi partiti, la sua cerchia. Il voto al FLN si spiega sia per il discorso del Presidente Bouteflika, che ha dato una disposizione velata (“sapete qual è il mio partito)”, che dalla paura. Gli algerini per paura, confrontati al domani hanno scelto ‘ieri’. Hanno avuto paura della Primavera Araba, del cambiamento, della minaccia di caos. Hanno quindi votato ‘conservatore’. Il regime ha capito cosa fare e mentre i partiti parlavano di programmi e promesse, il regime e gli islamisti al suo servizio (è stata criticata molto la presa di posizione degli imam nelle moschee) hanno trasmesso il messaggio più importante: “se non me, il caos”. Il mondo intero si aspettava, e temeva, una vittoria degli islamisti, ma quello che è successo è peggio: è la vittoria di nessuno se non dello status quo.

E se è vero che ben 145 donne hanno ottenuto un seggio, facendo registrare così un record nella parità uomo-donna in un’Assemblea legislativa nel Maghreb, in questa prima elezione post Primavera Araba, ha vinto la gerontocrazia. I vecchi partiti, diretti da uomini vecchi, controllori di un sistema desueto e dirigenti di un Paese giovane, sono riusciti a fare del conservatorismo nazionalista il contraltare degli islamisti e dei democratici. Un’occasione persa per un popolo che ha dimenticato da troppo tempo il profumo della libertà.

© Rivoluzione Liberale

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