I fondamenti del pensiero liberale di qualsiasi epoca sono sostanzialmente tre: la sacralità dei diritti fondamentali e inviolabili facenti capo all’individuo; l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (detta altresì eguaglianza formale); la competizione economica in un libero mercato, solamente regolamentata dallo stato.
L’individuo (inteso come cittadino dotato di inalienabili diritti, verso lo stato a cui è vincolato da un contratto sociale) è il centro e fulcro di qualsiasi sistema liberale. In un tale sistema il cittadino deve essere messo in condizione di poter goder pienamente godere della propria personale libertà individuale, intesa come fondamento di qualsiasi ordinamento politico e sociale, come teorizzato da John Locke.
Il fondamento dello stato liberale è la limitazione dei poteri dello Stato stesso a favore dei diritti naturali degli individui (diritti innati o naturali). Questa definizione fa coincidere il liberalismo con il giusnaturalismo: esistono diritti soggettivi — inalienabili ed imprescrittibili — degli individui, esistenti ancora prima ancora del sorgere della società e dello Stato.
Lo Stato assume, quindi, un valore funzionale e sorge per volontà degli individui, mediante un contratto fra gli stessi. Lo stato quindi non può violare questi diritti preesistenti e fondamentali, i quali costituiscono lo scopo e il limite della sua azione. Se lo stato supera questo compito oltrepassa i limiti del suo possibile agire e, quindi, diventa uno stato totalitario e/o dispotico.
Il compito fondamentale dello stato è quindi quello di assicurare il rispetto e l’applicazione di tali diritti, e di conseguenza la sua funzione deve essere “minima”, in quanto limitata, in un’ottica negativa, a garantire e fare rispettare i diritti naturali degli individui.
Si può quindi affermare che i diritti fondamentali dei cittadini si raggruppano in due grandi categorie: diritti o libertà personali (libertà d’opinione, di pensiero, d’associazione, di stampa, d’espressione, di religione, etc.); diritti o libertà economici (diritto di proprietà, libertà d’iniziativa economica, etc.).
Il modello statale liberale (ove correttamente attuato) dà luogo a società aperte (Popper). Gli ordinamenti non sono quindi statici, ma è sempre possibile una loro futura correzione, fondata sul principio della laicità e del confronto di opinioni diverse. Lo Stato liberale assume quindi il ruolo minimale di dettare le regole per il corretto svolgimento dell’antagonismo tra i membri della collettività e di farle rispettare.
Lo Stato liberale è quindi pluralistico e conflittuale, ma pure limitato (nei suoi controlli verso il cittadino) e minimo (nelle sue funzioni).
Alla luce di questo, il primo articolo della Costituzione italiana rappresenta un vulnus a qualsiasi modello liberale di Stato, ma è caratteristico dei sistemi socialisti di natura sovietica. Il fondamento dello Stato liberale non può essere il lavoro ma può essere solo l’insieme dei diritti personali e dei diritti economici che sono propri dei cittadini.
Il lavoro (quindi il reddito che ne consegue) ne costituisce un corollario, in quanto costituisce una precondizione della libertà, ma da solo non ne costituisce Garanzia.
Potremo chiedere con Popper che“a ogni uomo sia dato il diritto di organizzare autonomamente la propria vita, nella misura in cui ciò è compatibile con gli eguali diritti degli altri”.
E proprio dalla sintesi di Karl Popper, potrebbe discendere una nuova ipotesi ‘liberale’ per l’articolo 1 della Costituzione italiana: “L’Italia è una Repubblica che riconosce come proprio fondamento le libertà civili ed economiche, permette a tutti i cittadini di usufruirne in modo pieno e le difende con ogni mezzo consentito dalla legge”.
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