La disoccupazione in Italia, secondo i dati dell’ISTAT, ha raggiunto il 12,2%, quella giovanile si aggira intorno al 35,9%. Il problema riguarda quasi tutta l’Europa, con una media continentale dell’11%. La Francia registra la stessa percentuale del nostro Paese e la Spagna raggiunge il picco del 24,1%. Soltanto la Germania ha un tasso bassissimo, intorno al 5,4%, rimanendo sostanzialmente stabile sul livello fisiologico dello scorso anno. La recessione sta travolgendo tutta l’area Euro e l’intera Unione.
La ostinazione della Merkel nel rifiutare di dare il proprio assenso ai necessari ed indifferibili provvedimenti per la crescita, rischia di far collassare le economie di tutto il Continente, compresa, alla fine, della stessa Germania.
Gli Stati Uniti, dopo aver scaricato inizialmente i loro problemi, nati dalla bolla finanziaria, sulle economie delle Nazioni poste sull’altra costa dell’Atlantico, oggi si mostrano preoccupati e lo stesso Presidente Obama, dopo il tentativo non riuscito alla recente riunione del G8 a New York, ha riconfermato tutte le sue perplessità per la mancanza di una strategia comune europea, volta ad uscire dalla crisi, dovuta principalmente alla indisponibilità della Cancelliera tedesca.
Non si può fare a meno di notare che la stupida ostinazione, a volte, è pericolosa al pari della perversa follia. Si rinvengono nella politica tedesca delle costanti, che dimostrano come l’incubo di Weimar attanaglia la sua classe dirigente, fino a far dimenticare che la strategia per salvare l’UE non può essere diversa da quella usata con i Land dell’Est al momento della riunificazione, che ha registrato il generoso sostegno dell’intero Continente. La Merkel teme che aiutare gli altri Stati dell’Unione potrebbe farle perdere le prossime elezioni. Nonostante vi siano stati segnali chiarissimi in alcuni importanti Land, dove si è votato per il rinnovo dei Consigli Regionali, si rifiuta di capire che le elezioni del prossimo anno le ha già perse e che l’unica possibilità di ribaltare la situazione, sarebbe quella di promuovere una politica coraggiosa di ripresa economica di tutta l’Europa che, alla lunga, favorirebbe principalmente la Germania stessa, quale maggior Paese esportatore.
Nell’atteggiamento del Governo germanico, si rinviene tutta la miopia dei conservatori che, come è accaduto in Francia, sono destinati ad essere sconfitti in tutta l’Europa.
In Italia il Governo Monti, forse condizionato da Bruxelles, ma principalmente paralizzato dai veti incrociati di PD e PDL, ha perso il piglio iniziale di “Governo del Presidente” che, non dovendo rispondere a nessuno, presentava le proprie coraggiose riforme, sfidando il Parlamento a stravolgerle o, peggio, a non approvarle, dopo aver posto la questione di fiducia. Il provvedimento sul mercato del lavoro boccheggia, strangolato in una logica di compromesso al ribasso, che lo sta svuotando di contenuto, di fronte alle pressioni di segno diverso, del sindacato e delle organizzazioni imprenditoriali, con la complicità dei rispettivi partiti di riferimento, che sperando di salvarsi, mentre sono morti e sepolti, ne assecondano tutti i bizantinismi di stampo corporativo.
Dopo annunci arditi da parte del Ministro dei Rapporti con il Parlamento e la nomina di superesperti, che avrebbero dovuto rapidamente e drasticamente tagliare una elefantiaca ed inutile spesa pubblica, non sembra ancora venir fuori nulla di concreto e quantitativamente significativo. Intanto la recessione morde, i cittadini, in difficoltà per arrivare alla fine del mese, si orientano in misura sempre maggiore a non pagare le tasse, non soltanto perché le considerano elevate ed in gran parte ingiuste ma, peggio, perché non possono.
I fallimenti e le liquidazioni societarie si moltiplicano a dismisura, le sofferenze preoccupano le banche e diventano una ulteriore ragione per la restrizione del credito. Il provvedimento del Governo per il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni è poco più che un annuncio pubblicitario per la complessità e lentezza delle procedure imposte, mentre si sarebbero dovuti semplicemente compensare, in via automatica, i crediti con quanto dovuto al Fisco o, rendere bancabili, in termini immediati, gli importi non percepiti, ponendo i relativi interessi a carico della parte debitrice. Soprattutto la regola doveva riguardare tutti gli impegni non onorati dalle Pubbliche Amministrazioni, comprese la Società a intero o prevalente capitale pubblico, che, spesso, affidate a politicanti incompetenti o corrotti, hanno creato disavanzi vertiginosi e rischiano di far fallire un gran numero di imprenditori privati.
Lo spread oscilla di nuovo quasi ai livelli degli ultimi giorni dell’Esecutivo di Berlusconi, cioè intorno ai 450 punti, soltanto perché non si sono volute fare le privatizzazioni, vendendo beni mobili ed immobili dello Stato e destinando il ricavato alla riduzione del debito accumulato. Tale decisione avrebbe consentito di ridurre l’onere per interessi. Inoltre, sui mercati, avrebbe determinato un automatico, positivo effetto di fiducia verso il Paese. E’ evidente che non si possono toccare gli interessi della potentissima lobby dei parassiti delle partecipazioni pubbliche che costituiscono la struttura portante e molto grassa del finanziamento illegale dei partiti, grazie alla sistemazione, al loro interno, di presunti menager, in realtà, trombati alle elezioni, maggiordomi, camerieri, reggicoda e cortigiani.
Secondo la regola aurea del “tutto cambi perché nulla cambi”, sono stati sterilizzati gli effetti positivi di una battaglia durata a lungo per lo scorporo della SNAM rete gas dall’ENI, sollecitato anche dal Commissario Europeo alla Concorrenza. Anziché mettere realmente sul mercato questo appetibile asset – che avrebbe portato alla casse pubbliche ingenti risorse finanziarie, aprendo alla concorrenza ed assicurando notevoli risparmi agli utilizzatori – si è deciso di trasferire il controllo societario della SNAM alla Cassa Depositi e Prestiti, che non è altro che un braccio operativo del Tesoro. Cosa cambierà se la proprietà passerà dall’Eni, che é controllata dal Tesoro, alla CDP, che è anch’essa sempre del Tesoro? Inciderà l’operazione sul debito pubblico? Si ridurrà il costo del gas a favore di utenti, cittadini ed imprese? Ancora una volta si tratta del solito giro di valzer per eludere le pressanti sollecitazioni dell’UE e del mercato.
Nel dicembre scorso sostenemmo il cosiddetto Decreto salva Italia, imposto dall’Europa, che ha determinato un notevole aggravio fiscale. Oggi, sapendo di correre il rischio di essere accusati di incoerenza, siamo costretti a rilevare che, a causa del non previsto aggravamento della crisi, alcune norme di carattere tributario contenute nel medesimo, si stanno rivelando insostenibili. Nessuno in quel momento poteva prevedere che saremmo precipitati in una fase recessiva così profonda. Ragionevolezza vorrebbe quindi che, mutate le condizioni generali, per evitare di incidere negativamente in modo ulteriore sulla recessione ed, anzi, per risollevare il mercato, si dovrebbe ridurre immediatamente la pressione fiscale, ricercando le risorse per raggiungere gli obiettivi prefissati attraverso cessioni di patrimonio pubblico o drastici tagli alla spesa burocratica, affaristica e clientelare.
Non si può non prendere atto della situazione nuova che si è determinata conla recessione. Sequella fiscale si chiama leva, è appunto perché si tratta di uno strumento da usare con prudenza per commisurare le esigenze della spesa pubblica con le reali possibilità dei contribuenti. Altrimenti, mentre gli organi preposti si sforzano per mettere in campo una più efficace strategia per la lotta all’evasione, si rischia di non accorgersi che il sistema stesso ne produce una nuova, più diffusa, e non perseguibile, perché di necessità. Questi sono i momenti in cui la leva deve essere allentata per consentire a tutti di compiere il proprio dovere. Laffer, studioso attento ai fenomeni connessi alle politiche fiscali, ha teorizzato che quando le aliquote salgono troppo, producono come effetto una caduta di gettito. Quello italiano odierno si presenta come un caso di scuola.
Non è, quindi, da incoerenti, ma da liberali responsabili, chiedere con forza una immediata riduzione del carico tributario, insieme ad un provvedimento, che metta in condizione chi non ha potuto materialmente pagare quanto dovuto all’Agenzia delle Entrate, come all’INPS, di mettersi in regola, attraverso una rateizzazione sopportabile e senza il carico di penali, more ed aggi astronomici a favore di Equitalia, che aggraverebbero la situazione, anziché risolverla.
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