Il calcio d’inizio del “New York Forum Africa” è stato dato l’8 Giugno scorso a Libreville, in Gabon, sotto il patrocinio del Presidente Ali Bongo. Ha visto riuniti più di 800 partecipanti di cinquanta Paesi. Il loro obbiettivo: favorire la nascita di un Africa stabile.
Il “New York Forum Africa” ha tenuto le sue porte aperte per tre giorni. Organizzata da Richard Attias, ex produttore del Forum di Davos, cofondatore della “Clinton Global Initiative” e della “Conferenza dei Premi Nobel” e dal Presidente del Gabon Ali Bongo, questa riunione internazionale è stata interamente dedicata allo sviluppo in Africa, per discutere dei principali problemi economici e commerciali del continente e trovare soluzioni per porvi rimedio. Cinque i temi dibattuti: l’energia, il digitale, l’agricoltura, il turismo ela diaspora. L’Africa conosce una crescita record di più del 6%, rimane da lavorare sull’innovazione, la cultura imprenditoriale e il miglioramento della governance. Attias spiega di aver preso da tempo l’impegno con l’Africa di organizzare un forum panafricano che coinvolgesse tutti: giovani imprenditori, paesi francofoni, paesi a forte crescita come paesi più deboli, ai quali dare la stessa opportunità di incontrare investitori internazionali in un momento dove il continente conosce una bella crescita e ha preso coscienza del suo potenziale. Per l’organizzatore del New York Forum, l’Africa e i leader africani devono investire in tutti i campi possibili per far fronte alle necessità ed esigenze legittime del loro popolo, senza dimenticare la salute, l’educazione e il fronte del sociale. La globalizzazione lo esige e lo impone. Non è più tempo di tergiversare. Non è più l’era dei profeti: l’economia africana è entrata in una fase di sviluppo durevole. Il caso del Gabon è esemplare. Per questo la scelta di Libreville. In Gabon, bisognava uscire dalla logica della crescita fondata unicamente sulla rendita petrolifera, per costruire un’economia diversificata capace di dare allo Stato nuovi mezzi di finanziamento nella prospettiva di recessione delle rendite petrolifere. E’ l’obbiettivo che ha tentato di raggiungere il Presidente Ali Bongo e che vede i primi risultati concreti. Un’azione che passa dalla costituzione di un Fondo sovrano capace di investire le rendite che vengono dal petrolio in nuove attività produttive, con la volontà di assicurare la condivisione della crescita tra la popolazione, cosa che, afferma critico il Ministro dell’Economia Oyoubi, non si può dire sia avvenuta in Sudafrica. In Gabon sono determinati a voler inventare un modello di sviluppo che possa essere preso d’esempio dagli altri Stati africani.
Chi conosce l’Africa, almeno un po’, starà sulla difensiva. La tre giorni di Libreville è stata organizzata egregiamente, ma non ha detto niente dell’Africa vera. Quella delle difficoltà di tutti i giorni per semplicemente sopravvivere, della demografia esplosiva, dell’esodo dalle campagne alle città tentacolari, della troppa acqua, della mancanza di acqua, dell’insicurezza, dei piccoli chioschi colorati chiamati “negozi”, della musica ovunque, dei lavori mai portati a termine, della vita fatta di furtarelli e piccole truffe, del dolore e della gioia. L’inaugurazione è stata fatta in pompa magna, Ali Bongo è arrivato con un lungo ed inutile corteo di macchine blindate e sirene spiegate. A Libreville sono emersi anche tanti piccoli “difetti”, dettagli che fanno sì che, in Africa, i “grandi progetti” non arrivino mai a buon fine: dal wifi che non funziona ai cucchiaini che mancano la mattina sulla tavola della prima colazione di qualche grande albergo.
Ma nulla mancava, in fatto di serietà, nei dibattiti. Questo Forum, il primo del suo genere, mirava a dire al resto del Mondo, che “forse” ancora lo ignorava, che l’Africa sta evolvendo. 5/6% di crescita media l’anno, da 10 anni. Per questo Attias teneva molto che oltre alle tavole rotonde fatte di esperti, politici e capi d’impresa, si organizzasse un networking di incontri e di affari. Questo messaggio di ottimismo non sembra assolutamente infondato. L’Africa deve la sua crescita al prezzo delle materie prime che hanno preso il volo da dieci anni a questa parte a causa della Cina. Cina che, per mettere in sicurezza i suoi approvvigionamenti di petrolio, di minerali e di derrate alimentari, ha deciso di investire su tutto il Continente, ma a modo suo: molto, sistematicamente, con costanza, ma anche con brutalità e ignorandola popolazione. Pechino che ha capito quale brutta immagine abbia dato di sé nei confronti di popoli disoccupati che vedono sbarcare a casa loro operai cinesi, tenta di correggere il tiro, ma maldestramente. La compassione non è nelle sue corde.
Il prezzo delle materie prime e gli investimenti asiatici non spiegano tutto. L’Africa cresce anche perché ha fatto crescere una nuova generazione di imprenditori, formati nelle università americane e inglesi, pragmatici e determinati. La nuova politica economica africana deve trovare un punto di equilibrio tra crescita e sviluppo del consumo interno, lo Stato è tornato con la coscienza di dover investire nelle infrastrutture per migliorare le condizioni di questa crescita: le strade, i ponti, le telecomunicazioni e la scolarizzazione ancora deficitaria. Il New York Forum Africa ha dato sicuramente le indicazioni per andare nella giusta direzione anche se, in Africa, troppo spesso troviamo quel “piccolo dettaglio” che fa si che il meccanismo si inceppi. L’Africa crescere, ma fa ancora fatica a smarcarsi. E’ il continente delle opportunità, indubbiamente, ma è anche il continente degli ostacoli. I conflitti e l’insicurezza non solo escludono alcuni Paesi dal gioco, ma fanno si che i capitali esitino ad arrivare. Anche se alcuni dirigenti tentano di uscire dallo sfruttamento personale delle ricchezze, la loro buona volontà si perde nei ranghi inferiori del potere e della burocrazia dove la corruzione è legge. Formare ad Harvard una piccola élite non basta, bisogna rendere più professionale tutta la struttura educativa. Le infrastrutture mancano, complicando i flussi della merce. Il mercato tra Stato e Stato è blindato in uno sterile protezionismo. L’agricoltura rimane di sussistenza, si impongono riforme fondiarie, finanziarie e tecnologiche immense, forse la partita più difficile.
L’Africa, terra di ostacoli è anche la terra delle opportunità. Il Forum ha fatto scattare qualcosa, se non altro ha fatto emergere la consapevolezza che esiste una classe media di 60 milioni di persone che possono entrare in azione. Sta a loro spianare la strada e non lasciare che questa diventi l’ennesima operazione mediatica. Intanto, le proposizioni uscite da questa tre giorni saranno presentate al G20 del Messico (18-19 Giugno) e al Summit di “Rio+20” (20-22 Giugno).
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